Noi Due Siamo Uno

di Enea Solinas

 

L’articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2022

»»

La vicenda di Andrea Soldi getta uno sguardo sula fragilità umana e sulla salute mentale, oggi

»»

Piazzale Umbria è un luogo che mi è molto caro. È in questo interstizio urbano limitato da via piuttosto trafficate, che in un piccolo giardini, su una panchina sulla quale Andrea Soldi era abituato a trascorrere le sue giornate che è stato ucciso durante le operazioni di un TSO. Misura di emergenza prevista dalla legge 180, che viene applicata già in origine a causa di incurie e incapacità che il sistema dei servizi di salute mentale territoriale non ha saputo prevenire o correggere. La cattiva assistenza si era palesata già prima del TSO, con una persona evidentemente sofferente ma dotata di una particolare sensibilità abbandonata, insieme alla famiglia, ad un servizio che si preoccupava di fare normale amministrazione assicurandosi l’avvenuta somministrazione della terapia farmacologica e riducendo ad un niente lo spazio del colloquio, che in psichiatria è – o meglio dovrebbe essere – soprattutto un ascolto profondo empatico della persona dei suoi problemi come delle sue aspirazioni, del suo modo “diverso” di esprimersi o di guardare il mondo che lo circonda. Non chiudendo la questione complessa della patologia ad una sequela di sintomi, comportamenti, denotazione di sofferenza. Dovrebbe dare spazio all’alterità che abita il mondo e si relaziona. Un compito che in Italia chiama in causa – a partire dalla legge 180 che regolamenta la salute mentale – più professionisti, e il territorio con i suoi luoghi di accoglienza, socialità, relazione. E che interroga – senza pretendere di avere dare soluzioni preconfezionate – l’intera società civile.

»»

Lo scorso venerdì 20 maggio (2022 ndr) nell’ambito del salone off è stato presentato il libro Noi due siamo uno scritto dal giornalista Matteo Spicuglia, che riporta stralci autentici dei diari e delle lettere inedite di Andrea, e offre un ulteriore occasione di ragionare sulla salute mentale.

C’è da dire che quel fatto – avvenuto nell’agosto del 2015 – dette già nei mesi successivi una scossa alle coscienze di chi è all’interno dei servizi. In chi vi opera e da parte di chi è preso in carico. Due riverberi molto diversi, eppure uniti nel sottolineare criticamente una serie di disattese. Il fatto che la legge 180 a livello istituzionale sia guastata da un riduzionismo di pensiero organicistico di ritorno, che aumenti la richiesta di delega sociale, che la medicina si farmaco-centrica e fondata su un paradigma comportamento-diagnosi-terapia, con medici e operatori che si adeguano o che si alienano a tempi di cura che somigliano sempre di più a tempi di prestazione, affondati nella burocrazia o nei tecnicismi clinico-sanitari, appunto.

Alla presentazione erano presenti i famigliari di Andrea che oltre allo shock per l’accaduto hanno affrontato il processo, chiedendo giustizia e soprattutto volendo sempre più testimoniare la vita e la persona che è stata Andrea, rendendocela presente anche come monito vitale – e politico – affinché simili storture ed incurie non avvengano più.

Sono molti gli interrogativi – non eterei, ma concreti – che s’intrecciano e illuminano di dubbi e di possibilità di recupero di una salute mentale più vicina e aderente ai principi basagliani. Alla sua riforma che accanto alla delega terapeutica affiancava la territorializzazione e la richiesta di accoglienza, ascolto e sostegno per le persone fragili.

Tutti nodi – ancora presenti – evidenziati nella giornata di venerdì, che ha visto alternarsi ricordi e testimonianze, letture dagli scritti di Andrea, riflessioni a carattere generale sulla questione politica della salute mentale, sulle sue prassi e sulle politiche che la relegano a fanalino di coda all’interno delle politiche sanitarie. Come se incomprensibilità, difficoltà che richiedono attenzione alle esistenze e ai vissuti di persone le più diverse dessero fastidio. È scomodo o quanto meno fuori moda avere dei principi che in ambito pubblico non speculino e non banalizzino questioni tanto delicate. Non idealizzino e non ritengano di proporre rimedi definitivi.

»»

La questione la vivo sulla mia pelle – come testimoniato altrove (ovvero sul numero 66, presto in uscita, di Segn/Ali) – anche io più di recente ho avuto un ricovero coatto – per necessità conclamate che non disconosco, ma accanto ad alcune ombre, sono presenti molti dubbi su tutto ciò che intercorre tra un servizio che segue periodicamente un paziente e le soluzioni estreme, di emergenza. Sullo scollamento e sulla semplificazione.

All’incontro è stato particolarmente sentito l’appello – più che altro un auspicio – di Annibale Crosignani, uno psichiatra 89nne che ha visto lo sviluppo nascosto dei presupposti riformatori della 180, quando era ancora sperimentazione interna agli istituti, e la sua promulgazione che aveva investito il mondo delle istituzioni e del terzo settore che opera nel sociale di farsi carico collettivamente di un’umanità che era stata esclusa. Altri tempi e altre dinamiche e bisogni. Ma i principi fondanti non sono cambiati e anzi devono essere recuperati, tenendo presente anche i cambiamenti avvenuti nella società, le sue nuove problematicità, come le sue diverse opportunità.

È stato ricordato il nodo delle risorse, che uno snodo che non può fermarsi ad un dato matematico, ma va tradotto in uno spostamento di investimenti per favorire percorsi sia di cura che di emancipazione che limitino e prevengano il ricorso – ancora oggi elevato, a misure straordinarie come il TSO. Che di fatto si potrebbe dire che non sia più una misura straordinaria.

Ma per me piazzale Umbria è anche un luogo di ricordi e di riflessioni e contemplazioni personali.

La prima volta mi ci ritrovai arrivando in anticipo ad un evento anch’esso non solo commemorativo ma di sensibilizzazione alle tematiche, un raduno di declamazioni poetiche. E incontrai  Renato Soldi, padre di Andrea, quasi nobile nel ricordo costante del figlio perduto, che porgeva dei fiori su una panchina allora non segnata e decorata come è oggi per la memoria collettiva. Istintivamente mi avvicinai a lui e ci parlai – perché sentivo importante provare ad avere il tatto di avvisarlo e includerlo. Ma fu da parte sua il dono più grande, che mi espresse in modo pacato il suo dolore, e il disappunto – per usare un eufemismo – ribadendomi che la salute mentale è questione molto complessa. E soprattutto raccontandomi alcuni dettagli del vissuto di Andrea, all’emergere della sua prima crisi. Sorta dopo il periodo della naia. Questo confidenza e questo particolare fece scattare qualcosa nel mio cuore. Perché nella mia vita di paziente a differenza di Andrea ma con un intreccio simile – sono stato diagnosticato e preso ufficialmente in carico dal servizio sanitario anche per richiedere l’esenzione dal servizio di leva per le mia generazione ancora obbligatorio.

E poi perché quell’episodio mi è giunto in un periodo in cui mi sentivo sempre più coinvolto. Dopo la partecipazione ad alcuni convegni sulla salute mentale (Forum Nazionale di Pistoia nel 2015 e Impazzire si può Trieste settembre dello stesso anno). Che hanno via via segnato un interessamento sempre più partecipe alle istanze e alle questioni di carattere civile che investono il mondo dell’associazionismo e del terzo settore.

Fu anche l’inizio di una condivisione e di un lavoro di con-ricerca sulle cattive prassi ancora presenti in psichiatria. In particolare un percorso che ha accompagnato e ispirato la realizzazione dello spettacolo di teatro e denuncia civile Le Voci di Prometeo, andato in scena per quattordici volte tra il 2016 e il 2018.

Anche l’intensificarsi di una ricerca e di una passione civile congiunta, di confronto sempre più aperto e su questi temi, insieme allo scambio di testimonianze e di riflessioni mai banali, e non personalistici.

»»

Da allora, Piazzale Umbria l’ho frequentato ogni tanto in disparte in certi di contemplazione e solitudine. Mi ha interrogato parecchio anche sulla mia condizione sui meccanismi e sulle disparità di potere e sule differenze tra saperi diversi che spesso stentano a trovare un campo comune di ascolto e condivisione. Ma talvolta ci riescono – con tutte le imperfezioni del caso e gli accidenti che la vita può procurarti.

Non di meno l’esempio – talvolta (in)volontariamente scomodante è giunto proprio da quelle persone che aiutano non facilitando e accondiscendendo con precipitosa immediatezza, alle richieste e alle domande che più o meno velatamente un certo modo di esprimersi e di comportarsi rivela.

Dando cioè priorità ai tempi di crescita ed emancipazione soggettivi e ricercando talvolta sforzandosi di ricrearne un’interazione paritetica e rispettosa. Rifiutandosi di equiparare modi di sentire ed essere diversi tra loro come per porli su un piano comparativo.

Su certe questioni, sono molto d’accordo con quanto ha dichiarato Spicuglia non si può fare poesia, nel senso di sottilizzare troppo, o edulcorare le condizioni. Ma bisogna anche avere le capacità di non sottovalutare e di non arrischiare troppo all’opposto sapendo che come ricorda Borgna – la condizione del paziente psichiatrico è legata a qualcosa di indicibile.

Da questo libro può partire un’ulteriore riflessione e una spinta generativa a richiedere un recupero della dialettica sul territorio, trovando nuove possibilità di comprensione e di svincolamento.

Ciascuno – è stato ricordato, come un memento terribilmente banale – è bene che faccia la sua parte assumendosene le responsabilità.

Una materia che implica una concretizzazione di alcune domande, perché le risposte semplici sono insufficienti, non esaustive o consolatorie.

Le contraddizioni sono altresì parecchie – ed è per esempio uno sguardo differente con una poetica del sentire non logica che riecheggia quella di una filosofa come Maria Zambrano, che invita ad osservare il mondo nella sua meraviglia. Lo testimoniano le parole di Andrea, (in)volontariamente poetiche, e potrei testimoniarlo anche io se mi mettessi a raccontare la moltitudine di episodi che mi hanno visto testimone di gesti, parole, silenzi ed emozioni che condensano in modo altrettanto poetico la condizione esistenziale delle persone cosiddette folli, e ne avvicinano umanamente alle persone richiuse nelle facili definizioni di ruolo e di normalizzazione, evidenziandone altresì una visione divergente, fortunatamente anomala ed addirittura extra o precosciente dello stare al mondo.

In una società sempre più abituata ala banalizzazione e, omologata e alla ricerca di continue novità, rapita dal flusso accelerato di una fretta che è nemica dell’ascolto e della cura di sé e del prossimo, questi gesti e doni immateriali, sono quanto mai preziosi e rari. Per certi versi un antidoto.

»»

Concludo sottolineando proprio questa simpatia: è stato ribadito che per ri-porre al centro dell’attenzione le persone e non le loro patologie o i loro comportamenti, per avere rispetto di non incorrere in rischi dalle conseguenze imprevedibili, accanto all’azzardo di non abbassarsi ad una modalità paternalistica di accudimento, bisognerebbe sottolineare l’importanza nel non avere fretta, e forse non sentire nemmeno troppo la necessità, di giungere a delle spiegazioni o nel dare per scontate e certe questioni che restano aperte.

Con una consapevolezza in più. Che non basta essere bradipi “per partito preso”, o per fare i pazienti e i medici di sé stessi, ma occorre esserlo insieme e porre le precondizioni perché qualcosa cambi effettivamente e certi paradigmi vengano sostituiti.

La legge 180, non solo va difesa da eventuali alterazioni, ma interpretata e applicata nella sua complessità. E alcuni principi sono da recuperare dentro e fuori i servizi di salute mentale. E per applicarla al meglio, oggi, nel mondo della iperconnessione di un individualismo sempre più marcato, occorre passione civile e nessuno snobismo, perché forse “fare poesia” non lenisce e allieva le crisi e non ripara i guasti del sistema, ma può impreziosire l’anima di qualcosa che mette in comune mondi apparentemente distanti. La follia – ricorda Eugenio Borgna – è la sorella sfortunata della poesia.

Ancorché questo non cancelli inquietudini o turbamenti dell’animo, lenisca ravvivando la cognizione del proprio dolore, essa può aggiungere consapevolezza e imprimere una spinta vitale al superamento di condizioni faticose per chi le vive sulla propria pelle.

Piazzale Umbria e tutte i coinvolgimenti e gli episodi che si condensano a partire da quel luogo, personalmente mi inducono e non dimenticare e ad agire coi miei limiti e con le mie possibilità, perché queste tracce e queste riflessioni non vadano perdute, ma intessute più che mai in un intreccio di storie e di eventi che mi ha visto partecipe e che non intendo trascurare per i profondi legami che si sono creati col tempo.

Titolo del libro: Noi due siamo uno

Autore: Matteo Spicuglia

Editore: ADD editore

Evento: presentazione e dibattito ai giardini di piazzale Umbria, 20 maggio 2022. Presenti i famigliari di Andrea (la sorella Cristina e il padre Renato); Alberto Re, presidente circoscrizione 4; Matteo Spicuglia, autore del libro; Annibale Crosignani, medico psichiatra; Monica C. Gallo, Garante dei diritti Persone private della libertà personale del comune di Torino; Gianluca Boggia, Freedhome; Volontari di alcune associazioni che operano sul territorio e nella Salute Mentale (Il Tiglio onlus; Arcobaleno APS; Laboratorio Urbano di Mente Locale; Progetto Itaca ed altre); Abitanti del quartiere, zona San Donato.

Luogo: Piazzale Umbria, Torino – Panchina commemorativa a ricordo di Andrea Soldi, morto per TSO, agosto 2015 e monito pubblico affinché certi episodi non accadano più.

Foto di copertina: Enea Solinas

Qui tutti gli articoli di  Da Battere Le Zampe

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *