La Riscoperta
Dei Luoghi Lenti

di Angela Melis

 

L’articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2024

 

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Quando la lentezza si deposita nei luoghi

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I borghi abbandonati sono come le cicatrici della terra, segni di una storia che non si cancella. Sono luoghi di memoria e di silenzio dove il tempo si è fermato e la natura ha ripreso il suo corso. Sono luoghi di fascino e di mistero, dove si può ancora ascoltare il respiro del passato. Fabrizio Caramagna

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Qualche giorno fa, un amico mi ha raccontato di un incontro fatto con un uomo anziano, di origini sarde, trapiantato in provincia di Latina. Entrambi in attesa in un ufficio, tra il viavai delle persone, hanno iniziato a chiacchierare, intraprendendo un discorso sulla lentezza. Il signore anziano ha affermato che in Sardegna si vive con un ritmo decisamente più lento e rilassato. L’episodio mi ha riportato con la mente agli anni in cui ho vissuto a Roma e posso confermare le diverse percezioni che noi sardi abbiamo rispetto “al continente”: vivere in un’isola come la Sardegna, caratterizzata dalla natura selvaggia e all’attaccamento della popolazione alle tradizioni e alle usanze, richiede una certa capacità di adattamento e di integrazione, ma che offre anche molti vantaggi, come la qualità della vita, il clima mite e il contatto con la natura. Le recenti scoperte archeologiche altro non fanno altro che alimentare la sensazione di vivere in un luogo dove convivono due dimensioni temporali: la modernità, che chiede di procedere con ritmi sempre più sostenuti, e la lentezza, la dimensione delle memorie, tradizioni e dell’antica saggezza.

Nel mio immaginario, sono i piccoli borghi antichi i luoghi dove si sedimenta la lentezza, anche quando, col passare del tempo, si trasformano in una nuova realtà e facendosi custodi del tempo passato. Sono quei luoghi popolati da poche anime, dove il tempo si è piegato alle pietre millenarie e alle storie tramandate. In alcuni di questi luoghi la modernità si è affacciata prepotentemente lasciando residui importanti, a cui il tempo e la popolazione hanno saputo riportare in vita.

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La primavera scorsa ho avuto la possibilità di visitare l’Argentiera, un piccolo borgo sorto in una zona mineraria nel comune di Sassari, che oltre essere un luogo meraviglioso circondato dal mare limpido e azzurrino, ha una storia davvero affascinante legata all’estrazione di minerali. Nel corso dell’ottocento, e fino alla metà degli anni cinquanta del novecento, l’Argentiera è stata una delle zone minerarie più importanti d’Europa, dove si estraevano principalmente piombo e zinco. Il villaggio dell’Argentiera, che deve il suo nome al colore del materiale che veniva estratto, nel periodo di massima attività era popolato da estrattori, ingegneri, commercianti e intere famiglie. Quando le miniere cominciarono ad essere meno redditizie e a essere chiuse, il borgo si vuotò e lentamente cadde in uno stato di abbandono.

Nel corso degli ultimi decenni l’Argentiera ha conosciuto una nuova vita, e oggi può essere considerata un vero e proprio museo a cielo aperto, in cui è possibile svolgere diverse attività: cominciando dalla visita alla spiaggia della Frana, una caletta circondata da scogliere argentate e dai resti degli antichi impianti minerari; o la suggestiva chiesa di Santa Barbara, protettrice dei minatori, risalente alla prima metà del ventesimo secolo. La parte più affascinante è, senza dubbio, il complesso di edifici e strutture industriali in cui si svolgeva la lavorazione dei materiali estratti. Oggi parte di queste strutture è stata restaurata e fanno da sfondo a diverse iniziative che vengono portate avanti come il festival letterario che si tiene ogni luglio nella piazzetta principale, e il museo minerario all’aperto, che permette di visitare le antiche strutture e conoscere la vita e il lavoro dei minatori attraverso foto, oggetti e realtà aumentata

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L‘Argentiera inoltre è stata luogo di due set cinematografici: qui infatti sono stati girati due film, La scogliera dei desideri (1958) del regista Joseph Losey con Elizabeth Taylor e Richard Burton, e Chiedo asilo (1979), un film di Marco Ferreri, con Roberto Benigni e Dominique Laffin, incentrato su un maestro d’asilo che si innamora di una donna e la segue nell’Argentiera dove possiede un cinema dismesso.

Tra le case le case abbandonate e il profumo del mare, l’Argentiera è un luogo ci invita a riscoprire la calma, a contatto con la natura e la storia. E mentre il mondo va avanti, qui siamo fermi, ad ammirare la bellezza del tempo che scorre. L’Argentiera è solo uno dei tanti esempi di come la lentezza possa convivere con la modernità, senza rinunciare alla propria identità e al proprio valore. Perché la lentezza dev’essere innanzitutto è una forma di resistenza, di ribellione, di creatività

Ringrazio il mio amico Felice che, raccontandomi del suo incontro, mi ha dato l’ispirazione per raccontare la lentezza di un borgo speciale, come tanti ce ne sono qui in Sardegna, che col tempo hanno saputo reinventarsi senza snaturare la loro storia.

Foto di copertina: Angela Melis

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One Comment

  1. Silvio Marengo Reply

    Come tutti i luoghi minerari abbandonati hanno un loro fascino. Oggi lenti e vuoti, ma al tempo quando erano in funzione, nell 800, erano sicuramente luoghi di lavoro pesante e di sfruttamento di manodopera. Mi vengono in mente anche le miniere di prali che sono meta turistica che ho visitato ma pensare di lavorare la dentro mi avrebbe fatto venire i brividi.

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