Il Paese in cui i calciatori sono più degli abitanti
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⇒ di Joshua Evangelista ≈ Marcatura A Uomo
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Per addentrarci nel mistero del calcio uruguaiano dobbiamo prendere in prestito le parole che Oscar Tabarez, storico cittì della Celeste, disse alla vigilia dei Mondiali del 2010: “Ci sono paesi che hanno più calciatori degli abitanti dell’Uruguay”. Sta qui l’inspiegabile. Esattamente come per l’Olanda in Europa, l’Uruguay è un “paesito”, asfissiato tra Brasile e Argentina.
Che cosa lega al calcio gli abitanti, poco più di tre milioni, di questo piccolo stato sudamericano?
Il calcio è lo sport più popolare in Uruguay. E fin qui c’è poco di strano. Come in qualsiasi altra parte del globo, il calcio è stato portato in Uruguay da marinai e braccianti inglesi alla fine del XIX secolo. Ha attecchito subito sulla popolazione locale, al contrario di rugby e cricket. E anche questo è piuttosto ordinario.
Eppure, al contrario di molte altre colonie “calcistiche” inglesi, gli uruguaiani hanno saputo giocare e insegnare calcio. Prendiamo la nazionale: ha vinto due volte la Coppa del Mondo FIFA (1930 in casa, 1950 in Brasile); ha vinto la Copa América più di ogni altro paese (15 volte). Se non bastano questi, divertiamoci con altri numeri: l’Uruguay ha esportato 1.414 calciatori durante gli anni 2000, quasi tanti quanti il Brasile e l’Argentina. Così tanti che nel 2010 il governo uruguaiano ha emanato misure intese a trattenere i giocatori nel paese.
Sicuramente il momento più incredibile della storia del calcio uruguaiano è stata la finale del 1950. Battere i favoritissimi padroni di casa del Brasile, nella mecca del calcio, per un errore del portiere avversario. L’indimenticabile Galeano, prima di morire ha svelato il mistero di quella incredibile vittoria: “…prima di portarmelo nella tomba… Io so perché l’Uruguay vinse il Mondiale del 1950. Avevo nove anni ed ero molto religioso, devoto del calcio e di Dio, in quest’ordine”. Lo racconta nel Cacciatore di storie (Sperling and Kupfer, 2016), dove scrive che la Celeste compì il Maracanazo grazie alle sue preghiere: “Dio mio, fammi il favore, ti prego no me puoi negare questo miracolo… E gli feci la mia promessa. L’Uruguay vinse ma io non riuscii mai a ricordare quello che avevo promesso”. E chissà che l’aver dimenticato la promessa non abbia portato a una maledizione: da allora la Celeste è sempre stata competitiva, ma non ha più vinto.
Ma il misticismo va oltre il genio letterario di Galeano. Uno dei personaggi più incredibili è sicuramente José Andrade, personaggio chiave del primo successo mondiale.
Quando Andrade nacque a Salto, la seconda città dell’Uruguay, nel 1901, si diceva che suo padre avesse 98 anni, un esperto di magia africana scampato alla schiavitù in Brasile. E in effetti nella foto di squadra dei primi vincitori della Coppa del Mondo del 1930, José spicca: la sua è l’unica faccia nera.
Iniziò la sua vita lavorativa come musicista di carnevale, lustrascarpe e venditore di giornali prima di diventare elemento chiave di quella squadra imbattibile. Con Andrade esterno destro, l’Uruguay vinse il campionato sudamericano nel 1923, 1924 e 1926, e la medaglia d’oro ai tornei di calcio olimpici a Parigi nel 1924 e ad Amsterdam nel 1928.
E chissà se Andrade non avrebbe potuto condurre i suoi a vincere anche nell’Italia fascista del 1934 e toglierci quel primo posto così importante per la propaganda mussoliniana. Ma l’élite europea andava boicottata, la magia sarebbe dovuta avvenire nuovamente solo venti anni dopo, in Brasile, grazie alla preghiera del Galeano bambino.
Sono passati oltre 70 anni, ma la malattia per il futbol non è scomparsa. Come ha scritto Valdano, “l’Uruguay è uno di quei paesi dove dovrebbero mettere delle porte di calcio alle frontiere. Al visitatore sarebbe chiaro che quel paese altro non è che un gran campo di football con l’aggiunta di alcune presenze accidentali: alberi, mucche, strade, edifici…”
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⇒ Foto: revistauniversitario.com ≈ Prossimo Appuntamento: giovedì 22 aprile25
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