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Quando il “non puoi” si traduce in “è possibile”
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Come annunciato nello scorso articolo, quella che state per leggere è la seconda parte dell’intervista a Katia Aere, atleta paralimpica, che ringrazio per la sua disponibilità e a cui auguro un lungo percorso di successi e soddisfazioni sportive.
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Chi è Katya nella vita di tutti i giorni? La vita di tutti i giorni mi fa essere donna, atleta, impegnata nel lavoro, nel sociale e nella famiglia. La mia giornata inizia presto al mattino e termina tardi la sera, lavoro presso l’Azienda Sanitaria Friuli Occidentale, da oltre 30 anni ormai e termina tardi a notte inoltrata, perché dopo il lavoro mi attendono da 1 a 3 sessioni di allenamento tra piscina, palestra e handbike. Un’atleta impegnata a livello internazionale non conosce festività e il sabato e la domenica rappresentano per me un’occasione per allenarmi meglio e trovare anche un pò di riposo, in quanto il weekend non lavoro in ospedale.
Certo non è semplice conciliare tutti gli aspetti del mio vissuto quotidiano ed a volte mi piacerebbe molto che anche qui in Italia fosse riconosciuto a livello pratico lo status di atleta Elite Paralimpico, come accade in molti paesi esteri, dove l’atleta di alto livello (Elite) fa l’atleta e non ha la necessità di svolgere attività lavorativa extra per mantenersi alla vita e allo sport. Questo a dimostrazione che tutto ciò che faccio lo faccio in primis per la grande passione che lo sport che pratico mi smuove, ogni cosa che faccio ha un unico denominatore comune: mi fa sentire viva e finalmente artefice del mio destino e non spettatrice degli eventi.
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A cosa pensi quando pratichi uno sport? Nuotare inseguendo la riga blu sul fondo o pedalare su Black Swan mi fa sentire libera, mi permette di prendere coscienza del mio corpo, di ciò che per anni ho creduto di non poter più fare e di quante potenzialità ho invece scoperto e che nemmeno immaginavo. Per una gran buona parte della mia vita il non puoi è stato una costante, limitante e castrante a tal punto che ci ho persino creduto. Sperimentare che il non puoi poteva tradursi in è possibile lo sento sulla pelle ad ogni bracciata in vasca e ad ogni spinta sui pedali, è a questo che penso.
Ad un certo punto scopri l’handbike. Com’è iniziato l’amore per questa disciplina? E pensare che l’handbike l’ho scoperta per caso e scelta poi per passione! Agosto 2018: un’amica giornalista mi chiede di accompagnarla a Maniago in occasione dell’inaugurazione di Coppa del Mondo di Paraciclismo. Le è stata affidata l’intervista ad Alex Zanardi, non mi lascio sfuggire la possibilità di incontrarlo per la seconda volta. La vita perfetta non è fatta di grandi traguardi ma di grandi tentativi, questo scriverà di suo pugno Alex quel pomeriggio sul libro che gli chiedo di autografare. E siccome nulla accade per caso la domenica successiva vengo selezionata allo Stand di Obiettivo 3 (progetto di Alex che avvicina persone con disabilità allo Sport), all’interno del quale mio marito ha letteralmente spinto la mia carrozzina senza che abbia il tempo di accorgermene, e reclutata nel Team Obiettivo 3, perché sperimentare la sensazione del vento sul viso da così tanto da dimenticarlo farà in modo che pedalare diventi cosa cui non possa più rinunciare. Dalla prima sperimentazione a diventare un’atleta internazionale un percorso (nemmeno troppo lungo) fatto di limiti identificati e caparbiamente abbattuti con volontà, passione, fatica, sudore e tanta determinazione, oserei dire autodeterminazione come spirito di chi voler essere (nel termine più assoluto) nella vita di tutti i giorni.
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Un legame intenso il tuo quello con Alex Zanardi a cui dedichi la medaglia paralimpica del 2021… Alex ha rappresentato ciò che io ritengo essere il potere dello sport: quello di ispirare attraverso l’esempio dei campioni dello sport e nella vita. Per anni ho pensato alle gambe e alle braccia che non muovevo più come prima alle cose che non potevo fare come prima. Alex in fondo mi ha dimostrato come trasformare una difficoltà in opportunità. Ho imparato nel tempo che scegliamo noi ogni giorno chi vogliamo essere. Avrei potuto rimanere a letto in balia degli eventi, ma ho deciso di non arrendermi e di ridisegnare un percorso di vita che mi restituisse un’identità e una vita che mi soddisfacesse rappresentandomi appieno. Un’identità che proprio attraverso lo sport diventava più nitida ogni volta che mi confrontavo con gli altri. Pensare ad Alex quando quel 1 settembre del 2021 ho tagliato il traguardo è stato inevitabile, un atto quasi dovuto e fortemente sentito. Sono diventata una nuotatrice grazie a lui, ho scoperto la bellezza di sentire il vento sul viso dopo molti anni grazie a lui. Pertanto quella vittoria era frutto anche di Alex.
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Parliamo di Nazionale, quando l’esordio e quali le vittorie? L’esordio in maglia azzurra avviene a maggio 2021, dove da perfetta sconosciuta ad Ostenda in Belgio salgo sul podio della Coppa del Mondo centrando 2 bronzi. Un mese dopo al Mondiale in Portogallo centro nuovamente il podio con ulteriori 2 bronzi che varranno il Pass Olimpico perché il Commissario Tecnico mi scelse come una delle tre donne che avrebbero rappresentato l’Italia a Tokyo. Praticamente il sogno!
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Se ti chiedessi di raccontarci una gara che ti è rimasta nel cuore… Assolutamente la gara olimpica. Da Spilimbergo a Tokyo. Se ci rifletto su ancora oggi mi sembra di aver semplicemente sognato e non realizzato un’impresa. L’impresa di una vita. La mia! In realtà tutto il 2021 è stato un sogno rincorso e realizzato grazie a passione, impegno, dedizione, cocciutaggine e tanto altro ancora che hanno fatto in modo di “crederci fino al giorno dopo” non mollando la presa nemmeno per un secondo, nemmeno quando la fatica e il dolore avrebbero potuto dettare legge. Oserei quasi definirlo “equilibrio instabile sopra la follia”, per citare Vasco. Il 2021 esordisce con la mia prima convocazione in azzurro a rappresentare l’Italia in Coppa del Mondo. La prima gara internazionale di spessore, il sogno di ogni atleta, quello di poter rappresentare la propria nazionale. Due gare e due podi che inevitabilmente mi catapultano, da perfetta sconosciuta, nel panorama mondiale ma soprattutto che varranno la convocazione al mondiale di Portogallo nel giugno 2021 dove altri 2 podi saranno la conferma di una condizione di crescita e che mi farà approdare a Tokyo e alla paralimpiade. Tokyo. Non scorderò nulla di tutto quello che questa città mi ha regalato in quei 15 giorni di agosto/settembre. Il 1° settembre, giorno della gara in linea. Quella mattina il clima era inospitale, come del resto dal primo giorno in terra nipponica. Non faceva caldissimo, ma l’umidità rendeva l’aria irrespirabile. Ma ero preparata a questo, perché essere arrivati una settimana prima dell’evento aveva permesso a fisico e mente di adattarsi. Mi preparo ad iniziare il riscaldamento sui rulli nel box della nazionale italiana e lo sguardo cade a pochi centimetri dalla mia handbike: a terra l’ala di un’enorme farfalla. Da un paio di mesi le farfalle sono immagini che mi accompagnavano durante gli allenamenti, fuori della mia stanza, in ritiro. Guardo l’ala e penso che quel giorno durante la gara non sarei stata sola. Quella mattina sono serena, nonostante fossi consapevole che clima e percorso avrebbero dettato le regole, avevo la certezza di essere pronta fisicamente, ma soprattutto mentalmente. A pochi minuti dalla partenza l’inghippo burocratico (manca un numero sul mio casco), che mescola le carte e sposta l’energia mentale. Poi finalmente lo start e non mi resta che fare ciò che so fare. Le mie avversarie sono toste, hanno caratteristiche fisiche e di forza che io non possiedo e ne sono consapevole; eppure quando dopo il primo giro capisco che fare ciò che so fare significa correre, con il mio ritmo diventa tutto più semplice e non smetterò di spingere fino al traguardo. Quegli ultimi metri di rettilineo che conduce al traguardo non li dimenticherò mai. E’ li che divento consapevole dell’impresa che sto firmando e mi si dipinge sul viso un sorriso che urla emozioni di una vita intera. Taglio il traguardo e riconosco negli occhi di chi mi sta aspettando le stesse emozioni. Regalare all’Italia la 46^ medaglia, un onore. Quando quel 1° settembre 2021 pochi metri mi separavano dal tagliare quel traguardo dell’autodromo del Fuji lo sguardo era già rivolto “oltre”, alla prossima esperienza cui focalizzarmi, quasi già nostalgica dell’obbiettivo che da lì a pochi secondi avrei centrato. E pensare che l’handbike l’ho scoperta per caso e scelta solo poi per passione.
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Quanto è importante per te fare sport e soprattutto quanto è importante per i giovani? Nelson Mandela affermava che “Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di ricongiungere le persone come poche altre cose. Ha il potere di risvegliare la speranza dove prima c’era solo disperazione”. Come potrei non consigliare ai giovani di fare sport? Lo sport (scelsi l’atletica leggera) ha accompagnato la mia crescita fino ai miei 18 anni finché un brutto infortunio e la scelta di un percorso scolastico impegnativo mi ha indotto a fare un scelta ed abbandonare l’agonismo. Oggi ho la consapevolezza che non posso fare tutto, ma ho la certezza che quel Tutto lo farò lo stesso nonostante tutto! Lo sport è la chiave che mi ha spalancato la porta della consapevolezza di me stessa nella mia diversità ed unicità insieme. La consapevolezza il mezzo necessario per poter fare la differenza tra chi la malattia voleva che fossi e chi invece ho voluto fortemente diventare, con caparbietà, tenacia e un pizzico di follia.
Lo sport mi ha aiutato a crescere, ad imparare ed accettare le regole, a vivere in gruppo ma ad essere indipendente nello stesso tempo, a gioire delle vittorie e ad accettare le sconfitte, a riconoscere l’importanza e il rispetto dei ruoli, a scaricare le tensioni di una vita sempre freneticamente di corsa. Che si tratti di bambini, di ragazzi, di adulti o di anziani, esso rappresenta da sempre una scuola di vita, che non smette mai di insegnare nuove regole: stare con gli altri, condividere, contribuire al raggiungimento di obiettivi difficili, sfidanti, ma non impossibili, la disciplina come valore aggiunto da applicare alla vita di tutti giorni dentro e fuori dal campo intesa come imparare a strutturare il proprio tempo, a controllare il proprio carattere, rispettare l’impegno preso e i tempi da questo richiesti.
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Quali i prossimi impegni? Lo sguardo è rivolto a Parigi 2024, ma l’obbiettivo Olimpiade va conquistato con i risultati di questo inizio anno, già iniziato con la 1^ Tappa di Coppa del Mondo a metà gennaio in Australia da dove sono rientrata in Italia con al collo due medaglie d’Argento e consapevolezza nuova ed importantissima ai fini di orientare al meglio la preparazione e l’avvicinamento all’evento.
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Per concludere vuoi lanciare un messaggio ai lettori di bradipodiario? La mia storia vorrei insegnasse a non aver paura di sperimentare, perché è la paura a renderci immobili e non la malattia, le difficoltà della vita, o sterili stereotipi che si tramandano nel tempo.
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Foto: Katya Aere
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Diario Della Bicicletta ritorna giovedì 11 aprile
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