di Enea Solinas
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Prospettive concrete e cambiamenti in atto
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È proprio vero che talvolta a livello inconscio usufruiamo di risorse insperate e dal nostro bisogno di un ascolto o di un aiuto troviamo la volontà di relazionarci diversamente. Per non impaludarci nell’inazione (anticamente il pornos indicava questo atteggiamento, l’immobilità, la stasi). Nel non perire e piuttosto reagire alla condizione sentita soverchiante. O nel non aver paura della trasformazione che una morte simbolica comporta. Un passaggio, una “pietra sopra vicende passate”.
Tale condizione, in ogni caso, anche al di là della nostra volontà o possibilità di determinazione, muta. Occorre sentirsi ed essere fluidi e duttili. O se preferite teneri, conservando i lasciti di ciò che è andato decantandosi sul fondo.
Preambolo allegorico per concentrarsi sul da farsi, a partire dai risultati e traguardi comunque raggiunti e oltrepassati.
Personalmente, entrare in una comunità dichiaratamente solidale mi ha aiutato a uscire da un periodo pieno di strascichi dove a predominare era l’angoscia, il vuoto di senso. Il vuoto di per sé ha senso, o è possibilità di conferire un significato, rielaborando quel che abbiamo trascorso. Non senza autocritica, ma dove a prevalere sia il gioco del mettersi in gioco, in una crescita consapevole.
La partecipazione intesa come sentirsi parte di una comunità l’ho a lungo vissuta in un contesto collettivo marginale e germinale, socialmente connotato con l’ambito della salute mentale, che di per sé è molto variegato nelle sue declinazioni esistenziali e politiche.
Da qui ritengo che si possa migliorare la propria salute mentale a partire dalle proprie attitudini e scelte e di conseguenza mi ha condotto alla partecipazione alla comunità del dono, di cui ho parlato nello scorso Piccolo Diario.
Sussistono e s’intrecciano diverse analogie, lo spaesamento è relativo e transitorio, così come curiose e interessanti sono le differenze. Che implicano il partecipare a dinamiche relazionali e sociali.
In senso lato, un lavoro in corso.
In senso specifico: quest’anno sono tornato a giocare a fare Babbo Natale. Ma con molta più consapevolezza del processo e del progetto di cosa è la Comunità del Dono.
Un’opportunità tra le altre cose di far diventare politica l’arte della discrezione. Intendo che il processo di aiuto per le famiglie e i contesti sociali svantaggiati è lento e progressivo, vaglia le possibilità di aiuto effettivo di volta in volta e si caratterizza per non essere assistenziale bensì fondato sul coinvolgimento e l’attivazione di comunità. Non mancano le risposte ma è l’opportunità di far scoprire e agire a tutte le persone coinvolte proprie risorse e potenzialità per emanciparsi e migliorare le proprie condizioni di vita. Materiali e immateriali. Insomma per coltivare una felicità concreta, non effimera, che sappia fronteggiare le asperità e gli svantaggi di partenza.
E questo a partire da un gesto spontaneo e indiscreto, l’esprimere in tutta libertà un desiderio che funga da traino per tutto il processo. E chi meglio dei bambini con le loro letterine, così spontanee e talvolta inventive? Regali comuni, utili, desideri semplici. Per sé o per un pensiero affettivo che è riguardo per una relazione. Come nel caso di una bimba che ha richiesto un dettagliatissimo kit regalo composito e originale da regalare che vuole a sua volta regalare alla propria maestra “perché è triste”…
Sono più di 100 i nuclei famigliari con cui a questa terza edizione siamo entrati in contatto, senza contare la metà di comunità composta da donatori che oltre che si mettono in relazione anche nel prosieguo dell’iniziativa. 100 famiglie sparsi su tre circoscrizioni dove operano le portinerie del lo spaccio di cultura. E si può affermare con cognizione di causa che il processo di coinvolgimento ed emancipazione inizi ora. Work in progress.
Qui sta il costrutto che vuole determinare un impatto sociale effettivo, cambiamenti che non si esauriscono nell’esaudire un desiderio ad altezza di bimbo, ma vogliono avvicinare, con discrezione appunto, bisogni e risorse delle persone, sostenerli in un percorso di mutuo sostegno e miglioramento delle proprie condizioni di welfare. Rinvio al precedente episodio di questa rubrica per ribadire alcuni strumenti e risultati conseguiti sul medio e lungo termine, gli anni scorsi.
Nel frattempo anche in portineria a borgo San Paolo sono in corso dei lavori.
Dopo l’inaugurazione festosa nel periodo estivo e il rodaggio di attività e servizi nel periodo autunnale, il Circolo si concede un nuovo look, in attesa di future iniziative e coinvolgimenti. La comunità del Dono ha attecchito anche su questo territorio, e ha portato un rinnovamento natalizio.
Si preannuncia una nuova stagione di incontri e socialità aperta a quel quartiere.
Una volta connotato da fabbriche e popolazione operaia, oggi più “contadino”, che fa dell’arte relazionale il nutrimento già intrinseco nel legame etimologico tra “cultura” e “coltura”. Metaforicamente, è un’attenzione e una cura anche del lavoro apportato e veicolato da un’azione sociale come il progetto della comunità del dono. Non sono importanti solo gli obiettivi e i risultati, ma anche la qualità del percorso in fieri. Anche questa attenzione è un lavoro in corso. La bellezza è nei dettagli e nello spirito (animus, che vuol dire anche coraggio) con cui si procede. Con lentezza e perseveranza, oltre che resistenza. Un dato dei tempi.
Anche questo è un dono.
E per chiunque voglia mettersi in gioco, in vario modo, qui c’è un ulteriore link e un numero per informazioni sui servizi dello spaccio di cultura di porta palazzo: 347 878 8271
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Foto: Enea Solinas
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Il Piccolo Diario Di Portineria ritorna lunedì 30 gennaio
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