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La comprensione reciproca tra le persone, anche tra quelle che pensano o credono di conoscersi molto bene
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Sono passati migliaia di anni, ma il comune modo di dire: “questa è una Babilonia” o una “babele” per indicare una situazione o un luogo in cui regnano disordine e confusione, casino, non è mai passato di moda. Anzi con il passare del tempo ha aumentato ed esteso i suoi significati a “ridda, bailamme, baraonda, confusione, disordine repubblica (in senso politico negativo), sarabanda, trambusto, fino a connotarsi nell’indicare una situazione di folla in agitazione che causa “baccano, chiasso, clamore, tumulto, sino a bolgia, caos, finimondo, putiferio, sconquasso, subbuglio” in antitesi e contrasto con la calma, la pace, la quiete, e il silenzio.
Babilonia era tra le città più importanti del mondo antico allora conosciuto e, sicuramente quella più importante della Mesopotamia: sorgeva sulle rive del canale Arakhtuu, braccio del fiume Eufrate, in quel territorio oggi conosciuto come Iraq, a 80 km a sud di Baghdad e il suo nome di origine sumera “kadingira” il cui significato è “la porta di Dio”.
Secondo il racconto biblico fu proprio a Babele (Babilonia) che gli uomini iniziarono a non comprendersi più tra loro, sia dal punto di vista linguistico, per volere e colpa di Dio, che, aggiungo io, da quello psicologico e comportamentale per colpa propria. Per gli Ebrei la leggendaria costruzione era il simbolo dell’arroganza degli uomini verso Dio, ma la sua edificazione sembra non sia una leggenda perché di essa ne parla un antico poeta sumero, poi Erodoto e, più tardi, scrittori storici di epoca romana.
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Il racconto biblico si ispirò, quasi certamente, alla più grande e importante ziqqurat di Babilonia, chiamata Etemenanki, una massiccia costruzione edificata dai babilonesi proprio per salire fino al cielo. Dal basso, Etemenanki poteva sembrare una scala che, arrampicandosi tra le nuvole, portava in paradiso, o perlomeno a 91 metri di altezza (per fare un paragone, la Torre Piacentini di Genova misura 108 metri, ed è stato il palazzo abitato più alto d’Italia dal 1940 al 1954).
Il piano più alto dell’Etemenanki era suddiviso in lussuose camere da letto destinate agli dei, ognuna con il nome della divinità a cui era destinata, e tutte arredate lussuosamente con comodi divani e letti sontuosi. Una era per Marduk e la moglie Sarpanitum, una per Nabu e la consorte Tashmetu, e poi altre ancora per le divinità dell’acqua, della luce e del cielo, stanze mai usate dagli uomini perché destinate agli dei, che le utilizzavano per le loro vacanze, almeno secondo i sacerdoti babilonesi.
Ancora più in alto c’era un tempio, con una camera centrale destinata alle nozze sacre: all’interno solo un divano e un tavolo tutto d’oro. Poteva entrarci solo una donna, scelta dallo stesso Marduk, per consumare le nozze. Erano i sacerdoti a informare una delle donne di Babilonia dell’attenzione ricevuta dal dio. La prescelta saliva fino al tempio, vicino al cielo, e aspettava Marduk. Nessuno può dire cosa succedesse lassù, tra le nuvole, ma la prescelta era sicura, al suo ritorno a terra, di aver fatto l’amore con il dio.
La costruzione dell’Etemenanki fu una grande impresa, ripetuta più volte, perché fu più volte abbattuta. Anche Alessandro Magno, che rimase folgorato dalla bellezza di Babilonia, rase al suolo la ziqqurat, che doveva già essere in rovina, con la promessa di ricostruirla. Non fece in tempo, perché morì proprio a Babilonia, a soli 33 anni.
Così, per due millenni, i resti della ziqqurat sono rimasti sepolti, mentre la Torre di Babele era ormai solo una leggenda sulla collera di Dio e dell’arroganza degli uomini. Poi gli archeologi hanno trovato la base della Torre, un quadrato di 91×91 metri, posto al centro di un’area di 500 metri, esattamente come la descrivevano gli antichi. Oggi non rimangono fisicamente che pochi mattoni d’argilla coperti di terra, ma il mito della creazione delle diverse lingue e la dispersione degli uomini sulla terra rimarrà vivo per l’eternità.
Come si chiama oggi la città di Babilonia? Le rovine di Babilonia oggi coincidono con la città di Al Hillah, a circa 80 km a sud di Baghdad.
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Foto: pixabay.com
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Apostata Per Vocazione ritorna lunedì 18 febbraio
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L’inizio di questo articolo, con quei venti ulteriori modi di esprimere il concetto di “questa è una Babilonia” mi ha fatto pensare agli “Esercizi di stile” di Queneau (che Sara Migliorini ha recensito di recente nella sua rubrica di letture su Bradipodiario) e, per ulteriore associazione di idee, mi è tornato alla mente anche il racconto di Borges intitolato “La biblioteca di Babele”; mi ricordo che mentre lo leggevo, avevo provato una sorta di “dejà vù” perchè mi evocava la struttura della biblioteca descritta da Umberto Eco ne “Il nome della rosa”. E che dire dei giardini pensili di Babilonia? Guido qui non li menziona, ma fanno anch’essi parte del nostro immaginario collettivo (oltrechè essere annoverati come una delle sette meraviglie del mondo classico) ma Torino non è da meno rispetto a Babilonia, perchè può vantare il più grande giardino pensile d’Europa, che è stato realizzato sulla pista sopraelevata della FIAT Lingotto.
È incredibile come da un’unica parola sia possibile fare così tanti collegamenti e passare da un argomento all’altro senza difficoltà. Qui però mi accorgo di aver divagato. Meglio tornare nel merito dell’articolo.
Allora: della camera centrale destinata alle nozze sacre (e ubicata a più di novanta metri di altezza sulla ziggurat) Guido asserisce che nessuno può dire cosa vi accadesse… e allora ve lo dico io! Guido, da storico, ci riferisce cose tratte dagli antichi testi e su questo nessuno può dubitare; io propongo invece un’idea scaturita dalla mia umile testa (quindi potete dubitarne fin da ora) ma vi prego almeno di ascoltare anche la mia versione.
Le giovani donne, che venivano condotte dai sacerdoti babilonesi fino alla base della torre, dovevano poi affrontare da sole la faticosa salita per recarsi alla sommità (il nostro storico dice che, giunte in cima, attendevano l’arrivo della divinità per consumare le nozze sacre, ma io sono certo che Marduk fosse già lì, presente e in trepida attesa di “consumare”). Quello che riporto di seguito deve essere avvenuto con modalità poco dissimili per ognuna delle molte prescelte che il buon Marduk faceva ogni volta convocare.
La prescelta di turno, giungeva trafelata e si accasciava subito sul divano. Il dio Marduk si avvicinava provando ad abbozzare una sorta di preliminare amoroso, ma la fanciulla lo gelava subito con queste parole: “Eh, caro il mio Marduk, tu te ne sei stato qui bello bello ad aspettare, mentre io mi facevo il mazzo a salire tutte quelle scale… spiacente, dopotutto non sei nemmeno malaccio, ma fare sesso stasera nemmeno per idea! Potrei mentire e dirti che ho il classico “mal di testa”, ma sono una ragazza sincera: la verità è che ho male dappertutto; mi fan male i piedi, i polpacci, la schiena, sono senza fiato e di aprirti le gambe non se ne parla proprio. Anzi, sai che c’è? mi riposo dieci minuti e me ne torno subito a casa, che domani devo alzarmi presto”
A queste parole il dio Marduk esplodeva in un grido di orrore: “Nooo… dieci minuti no… ti prego, ti scongiuro! Riposa almeno due ore: se torni troppo presto cosa penseranno di me? Vai, vai pure, ti lascio tranquilla, ma non permettere che in giro si pensi di me che non duro nemmeno dieci minuti; è un’onta che non potrei sopportare!” La ragazza quindi rispondeva: “Vabbè, allora mi trattengo un pochino… magari faccio un sonnellino qui sul divano, per un’oretta non di più, e poi vado. Comunque stà tranquillo… sappi che un’ora di amplesso è un tempo più che onorevole. E poi, se qualcuno mi chiede, dirò che scopi da dio. Va bene?” “Affare fatto!” conveniva Marduk alquanto rincuorato.
Questo è ciò che nessuno poteva sapere, ma che la mia immaginazione mi dice essere certamente avvenuto.
Però.a forza di andare sempre in bianco per causa della “location” a Marduk giravano parecchio le balle, al punto che i suoi sacerdoti ruffiani, per placarlo, furono costretti a inventare il “pied a terre”.
E gli archeologi stanno ancora setacciando tra quei 91 x 91 metri, nella speranza di trovarne le vestigia.
Francisco Goya nel 1797 dipinse un quadro e lo chiamò “Il sonno della ragione genera mostri”. Dipinse un altro quadro e lo chiamò “Il linguaggio universale”.
La torre di Babele rappresenta la massima espressione della perdita della ragione degli umani che vogliono raggiungere mete elevate, senza averne le capacità, o gli strumenti appropriati.
La giovane illibata che sale fino in cima per attendere la rivelazione dell’entità spirituale ed illuminare i suoi simili nel mondo, è circostanza ripresa da innumerevoli religioni, sulla faccia della Terra. Molti gruppi etnici attendono l’arrivo di un messia. Sull’isola di Pasqua i giganteschi Moai costruiti dal popolo dei Rapa Nui erano di auspicio per la pesca, ma si sono rivelati inutili per la sopravvivenza dell’ecosistema dell’isola distante migliaia di chilometri dal più vicino lembo di terra.
La confusione regna sovrana in diversi campi dello scibile umano. La debolezza di Organizzazioni internazionali impediscono di risolvere conflitti tra Stati e rendono inutili gli appelli alla ragionevolezza di figure carismatiche politiche e religiose. Sempre più isolate e deboli, se non corrotte, o corruttibili dal vile denaro. Interessi economici stratosferici (alti come avrebbero voluto i costruttori della torre di Babele) tentano di piegare economie consolidate al loro interesse. Multinazionali farmaceutiche, pare si stiano preparando a nuove spettacolari (per modo di dire) pandemie, pur di piazzare miliardi di dosi di vaccino che, casualmente, avrebbero già brevettato. Cosa è venuto a fare Bill Gate a Roma dal Primo Ministro, ma soprattutto dal Papa? Lui che è il maggior finanziatore dell’OMS?
In attesa che la AI (intelligenza artificiale) ci indichi la via (per così dire), vado a fare un bagno, di umiltà, di pulizia, di sole. La canzone? “Vedrai, vedrai” di Luigi Tenco.