Luci… poche, ombre… tante, per raccontare un ritorno che, in base alle proprie osservazioni, non piace…
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⇒ di Giuseppe Rissone ≈ Piccole Storie Quotidiane
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Ebbene sì sono tornato, non intendo su queste amate pagine, bensì sul luogo di lavoro, esattamente dopo otto mesi, un ritorno ancora parziale, solo due giorni su cinque. Contento? Preferisco astenermi da qualsiasi tipo di risposta.
Il ritorno ha coinciso con il riprendere contatto con i mezzi pubblici, anche questi visti passare nelle strade del mio quartiere per otto mesi – praticamente vuoti – ma mai presi, adesso che la mia regione è diventata bianca, autobus, treni, tram e metropolitana possono accogliere sino all’80% della loro capienza. L’azienda dei trasporti pubblici della mia città ha fatto qualcosa di più, ha affisso all’interno dei mezzi un cartello che oltre a rassicuranti annotazioni sui sistemi di sanificazione e areazione, segnala il numero esatto dei passeggeri che possono contenere.
Quando ho letto questa regola ho avuto una risata amara e nervosa, perché mi sono chiesto come possa essere garantita: un omino ad ogni fermata conta i passeggeri e se il loro numero supera quello indicato, con un magico criterio fa scendere quelli eccedenti. Provo a elencare una serie di ipotesi su quale magico criterio possa essere adottato: attraverso una lotteria, in base all’età, in base al numero di dosi di vaccino ricevute, in base al tipo di vaccino ricevuto, in base si è stati vaccinati sul braccio destro o sinistro, in base alla data in cui si è stati vaccinati e quale regola era in vigore in quei giorni – modificata al ritmo di un giro di giostra – in base a quale squadra di calcio tifano, in base ad un algoritmo sicuramente equo rispettoso delle diversità.
Come forse avete ben capito ho voluto giocare con questa regola, altresì ho potuto verificare con i miei occhi che risulta alquanto complicato metterla in atto, forse la si potrebbe quasi assicurare se i passaggi fossero ravvicinati, ma questo è chiedere troppo. Così per paradosso era più sicuro viaggiare in zona rossa che nell’attuale zona bianca.
Non posso far altro che augurarmi che la mia prima dose sia sufficientemente efficace a proteggermi, non nascondo qualche timore e dubbio. Allo stesso tempo ho ripreso una delle mie attività preferite, osservare…
Il rischio è alto, quello di ripetermi sino a diventare fastidioso, però osservo persone chine sullo schermo, oppure usare il telefonino come specchio, non vedo atteggiamenti preoccupati, forse questo è un bene, ma è allo stesso tempo un modo di vivere che non comprendo, non voglio gente chiusa nelle case, che scappa se vede un suo simile, questo no. Vorrei che tutto si svolgesse con un tono più basso, per rispetto per chi ha sofferto, per chi soffre ancora, per chi ha lasciato la propria vita terrena. Non vado oltre.
Lo ripeto sino alla noia non mi ritrovo in questa società in cui prima di tutto vengono le proprie esigenze, il proprio aspetto, il proprio apparire, il voler ad ogni costo essere i primi della fila.
Simone Cristicchi ha domandato alla poetessa e scrittrice Chandra Livia Candiani se la felicità è un mito occidentale, questa la sua risposta: molto gonfiato nella nostra epoca contemporanea, che così produce corsi, ricette, medicamenti. Io rifuggo da felicità e benessere e, quando lo dissi ad un’amica filosofa, lei inorridì: “Ma come? Nella filosofia antica la felicità è così importante!” Allora sono andata a vedermi come si diceva felicità in Grecia: eudamonia. C’è “eu”, bene o buono, e “daimon”, demone. Essere in compagnia di un buon demone mi interessa, perché sarebbe l’antidoto alle nostre voci autodistruttive. Invece, la felicità in senso latino è “abbondanza, fertilità, ricchezza”. Ecco, io sono più diretta alla decrescita felice che non all’abbondanza.
Si può essere o meno in sintonia con le parole della poetessa, però credo, ne sono fermamente convinto, che tutta questa abbondanza che la società di oggi ci “regala” non sia un bene ma un male, e credo che sia urgente e necessario riscoprire seriamente la lentezza, ne riparleremo…
Ho bisogno di sottrarre, non aggiungere, ho bisogno di parole, non di silenzi, ho bisogno di contatti, non di distanze, ho bisogno di vedere il cielo, non palazzi, ho bisogno di vedere alberi, non automobili, ho bisogno di vedere acqua, non centri commerciali, ho bisogno di respirare vita vera e non virtuale. Il ritorno come vedete mi ha fatto male, perché ho visto cose che non avrei voluto vedere, ho bisogno d’intraprendere una nuova strada, che mi porti gioia, contentezza, serenità, quella odierna porta ad un burrone, non fisico, ma sicuramente esistenziale.
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⇒ Foto: Giuseppe Rissone ≈ Prossimo Appuntamento: lunedì 19 luglio
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