di Gianfranco Gonella citynews.it – statics.it
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Ero di fronte ad un bicchiere mezzo pieno e adesso mi ritrovo a guardarlo mezzo vuoto
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Cari amici bradipolettori, ci siamo lasciati lo scorso mese di fronte ad un bicchiere mezzo pieno e ci ritroviamo adesso a guardare quello stesso bicchiere vedendolo, purtroppo, mezzo vuoto. Non mi sarei mai aspettato che nella nostra Europa uno stato invadesse un paese confinante con lo solo scopo di annetterlo per riformare quello che una volta era stato un impero.
Perché di questo si tratta, non è una guerra di liberazione da una tirannia, non è una battaglia contro il terrorismo, ma è solo la voglia di sottomettere una nazione che guardava più verso l’occidente che verso la patria Russia. Non è mia intenzione entrare nel merito politico della situazione, rispondo solo a chi, in casa nostra, cerca di trovare una giustificazione a questa azione che niente ha di democratico. L’attuale presidente dell’Ucraina è stato regolarmente eletto a stragrande maggioranza dal suo popolo anche in virtù di vari scandali finanziari del governo precedente.
Chi lo accusa di guardare alla NATO dico che la volontà di entrarne a farne parte era già stata sollecitata e appoggiata nel 2009 da Petro Oleksijovyč Porošenko suo rivale alle elezioni, e quest’ultimo guardava molto di più a est che a ovest. Stendo un velo pietoso sulla bella figura che il nostro collezionista di felpe ha fatto con il sindaco polacco (invito a cercare in rete la bellissima accoglienza che gli è stata riservata), ma mi voglio soffermare sull’episodio a cui si riferisce la foto di questo articolo.
Durante la premiazione ai campionati mondiali di atletica a Doha, l’atleta russo Ivan Kuliak, terzo classificato, sale sul podio insieme al collega ucraino Illia Kovtun, vincitore della gara, con disegnata sulla maglia la lettera Z che è il simbolo tracciato sui carri armati dell’armata russa. Nel frattempo molti hanno detto la loro, la federazione pare che lo abbia squalificato dopo l’indignazione generale.
Ma quello che più mi ha dato fastidio è l’espressione che questo atleta ha nei confronti del suo avversario, un’espressione da vero sportivo, da uno che mette i valori dello sport al primo posto, credendo negli ideali della disciplina sportiva. Del resto da un rappresentante di una federazione sportiva più volte squalificata per doping che cosa ci si poteva aspettare?
E poi guardo le facce dei soldati russi caduti prigionieri che campeggiano dietro le spalle di Luciana Littizzetto durante la sua esibizione a Che tempo che fa di domenica 6 marzo (anche qui andate a cercarla se non lo avete vista). E queste facce hanno tutta un’altra espressione rispetto alla baldanza del sopra citato atleta, facce sperse, impaurite, da bambini che hanno bisogno di essere confortati dalle loro mamme. Qualcuno vorrebbe farci credere che sono solo professionisti e non soldati di leva… Del resto sempre qualcuno vorrebbe farci credere che, oggi, si viva bene in Russia. In tempi recenti ho avuto modo, in uno dei miei viaggi, di visitarla, passando da San Pietroburgo, città molto più europea di quanto si possa credere, arrivando a Mosca e spostandomi poi nelle campagne, a contatto con la realtà contadina.
Ho avuto modo di confrontarmi con chi Putin lo subiva, con chi lo idolatrava e con chi lo contestava, ma ho avuto anche modo di vedere e toccare con mano di quanta povertà ci fosse, di quanto il regime stalinista non fosse ancora del tutto finito, di come un movimento mafioso uguale al nostro caporalato dei braccianti agricoli, reclutasse al mattino poveracci in cerca di un tozzo di pane provenienti, clandestinamente, dall’Uzbekistan.
Quindi, ai nostri populisti trasversali, di destra e di sinistra, che cercano a tutti i costi una giustificazione all’orrore di questa guerra, dico, andate a vedere con i vostri occhi di che cosa si parla e allora, e solo allora, potrete dare un’opinione. Pensate a quanti secoli dovranno passare per far cessare l’inevitabile odio che ci sarà fra i due popoli.
Chiudo come al solito con il brano musicale che dà il titolo all’articolo. Si tratta di un brano del gruppo Il Volo. No, non si tratta del gruppo formato dai tre tenori/ragazzini, ma di quello che a suo tempo, parliamo del 1974, fu definito un supergruppo. Sulla falsariga di artisti stranieri, un gruppo di musicisti del calibro di Alberto Radius e Gabriele Lorenzi (Formula 3), Mario Lavezzi (Flora, fauna e cemento, Camaleonti), il compositore Vince Tempera, Bob Callero (Osage tribe) con Gianni Dall’Aglio (Ribelli) si misero insieme, dimenticando le influenze battistiane e incisero un paio di album con influenze jazz-rock. A distinguerli dai gruppi di provenienza la caratteristica de Il Volo è la quasi mancanza della componente voce.
Ora, di fronte a una musicalità e allo spessore degli interpreti, mi chiedo che cosa abbiano a spartire i tre tenori e perché abbiano scelto un nome che, per la storia della musica, poco a che spartire con il Volo originale.
Buon ascolto e appuntamento al prossimo mese, con la speranza che la situazione sia nel frattempo migliorata.
Il Mito Ostinato ritorna lunedì 11 aprile
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Caro Gianfranco, l’immagine del bicchiere non completamente pieno che sovente ci evochi si sta rivelando purtroppo totalmente inadeguata e andrebbe rivista nelle sue ripartizioni volumetriche; una rappresentazione più consona all’attuale stato di cose potrebbe essere se ne parlassimo invece come di una damigiana entro cui è presente solo mezzo bicchiere, magari di gasolio, tanto per essere un pochino ottimisti (visto che il suo prezzo ha superato quello della benzina, godiamoci almeno questa lieve plusvalenza!).
Tu dici che non ti saresti mai aspettato di vedere in Europa uno stato che invadesse un paese confinante, mentre io avevo già preconizzato qualcosa di simile ben quarantacinque anni fa! Il tuo articolo di gennaio 2020 lo avevo commentato con una mia poesia del ’75 che terminava con questo verso: “…e la guerra verrà a giocare con loro” (il tuo articolo era intitolato “Viva la guerra” ma allora parlavi di Trump; come vedi, cambiano gli attori ma il film è sempre lo stesso). Purtroppo la guerra ce l’abbiamo dentro tutti quanti, deve essere parte del nostro codice genetico. Lo percepisco dal diverbio per la fila alla cassa del supemercato, nelle incomprensioni tra il pedone e il ciclista e tra i ciclisti e gli automobilisti, tutti contro tutti, ognuno unicamente convinto delle proprie ragioni e intemperante per qualsiasi errore commesso dal componente dell’altra categoria! Quanti cani vedi in giro con la museruola? Hai mai provato a dire al padrone di un cane di fargliela indossare? Liti di ballatoio, ripicche condominiali, potrei andare avanti con piccoli esempi in un crescendo che condurrebbe presto ad uno schiaffo, poi alla scazzottata e su su fino ai coltelli e alle fucilate. È vero, questa mia esemplificazione non vale proprio per tutte le persone di questo mondo ma è anche vero che contro l’Ucraina si è mosso un esercito di soli 190.000 uomini, mica ci sono andati in massa tutti i milioni di abitanti della Russia a invadere! Il risultato però sappiamo qual’è: bastano in pochi per fare grandi disastri. Quando in tempo di pace un generale alla guida della sua auto evita di investire un pedone solo per non ammaccarsi la carrozzeria, non mi stupisce che poi, trovandosi all’estero per lavoro, alla guida di un carro armato cannoneggi un condominio o una scuola. Non c’entra l’etica, è questione di DNA!
Io non sono un gran nuotatore, se cado in acqua sono in grado di non annegare e di guadagnare la riva da solo, ma non sarei mai capace di soccorrere uno che stesse affogando; se ci provassi annegheremmo insieme. Forse, mosso da un impeto irrazionale, mi butterei se in difficoltà ci fosse mio figlio, ma non lo farei per nessun altro, ne sono certo. Ebbene questa consapevolezza mi fa vivere male ogni volta che mi trovo vicino a un fiume; è il mio incubo a occhi aperti ogni volta che mi avvicino a una grande massa di acqua: il terrore di sentir gridare aiuto e sapere di non essere in grado di portare soccorso. Questo, nonstante tutte le giustificazioni che mi sono sempre dato, mi fa sentire un vigliacco a priori. Di fronte agli appelli del Presidente dell’Ucraina che invoca aiuto per il suo popolo, ho provato un disagio molto simile, perchè le stesse motivazioni che tratterrebbero me dal gettarmi in un fiume sono quelle che impediscono ai paesi della NATO di intervenire. Che tristezza… il mondo ha paura di Putin, delle sue armi chimiche e delle sue bombe atomiche… meglio non scherzare col fuoco, specie con quello della fissione nucleare. E quindi, nel limite del possibile facciamo del nostro meglio con la solidarietà. “Non vogliamo girarci dall’altra parte”… con questa frase il presidente della Federcalcio ha fatto posticipare di cinque minuti l’inizio di tutte le partite di calcio, dalla serie A fino ai dilettanti. Uh… che gran gesto di solidarietà! Certo, piuttosto che niente, meglio piuttosto, come dice il proverbio, però vorrei dire che, se questi sono i parametri, allora per gli orari di Trenitalia a quest’ultima andrebbe conferito il Nobel per la pace!
“Desertum fecerunt et pacem appellaverunt…” forse molti auspicano che la Russia riesca a fare in Ucraina le stesse azioni che i popoli conquistati attribuivano ai Romani con la frase sopra citata: “facevano il deserto e lo chiamavano pace…” Ho l’impressione che alla maggior parte dei nostri simili importi più la salvaguardia del proprio portafoglio che non la vita di migliaia di persone e della libertà di una intera popolazione. In molti si staranno augurando che la Russia possa sopraffare rapidamente la resistenza degli ucraini e che, imposto il suo regime su questo sfortunato popolo, Putin si accontenti di quanto ottenuto; così pian piano si tornerebbe a una situazione di minore instabilità ed a una ripresa economica che è l’unica cosa che sembra veramente contare nella nostra vita. Negli antichi riti pagani venivano sacrificate vittime agli dei per ingraziarseli con la speranza di ottenere un buon raccolto o scongiurare una guerra… mi sembra che oggi il mondo stia usando gli Ucraini come vittime sacrificali per poter tornare ad acquistare il gasolio a prezzo equo. In questo momento sono seduto alla scrivania ma sto provando lo stesso malessere che sento quando sono sulla riva del fiume; vorrei che tutti quelli che in questi giorni piagnucolano per la bolletta del gas provassero almeno un pochino del mio stesso disagio; almeno quello. Per il resto cosa possiamo fare noi come singoli individui quando la Storia la fanno gli altri? Sì, possiamo radunarci in tanti nelle piazze e manifestare almeno il nostro dissenso; questo è già stato fatto, si farà ancora… sui risultati però, lasciatemi dubitare.
E allora chi volete libero? Barabba o Zalensky?
Nel corso della giornata mi sono avvicinato più volte al PC con l’intenzione di scrivere la mia risposta al tuo intervento, caro Claudio.
Ho acceso il pc e poi subito dopo l’ho rispento.
Non mi veniva niente da scrivere in più di quanto hai già fatto tu.
Poi ho anche letto l’articolo di Giuseppe con le sue domande che, e lo sa benissimo anche lui, non possono avere risposte.
Stiamo vivendo un’ennesima esperienza della nostra vita.
La nostra generazione sta vivendo quello che non avrebbe mai voluto vedere.
Caro Giuseppe, ti rispondo qui tanto lo so che lo leggerai anche se non in coda al tuo articolo.
Nel bradipo sono entrato a piedi giunti proprio con un mio ricordo di vita militare, ti ricordi?
Ti raccontavo di qu l maresciallo dei paracadutisti che avrebbe scambiato 10 anni della sua vita per poter vivere 1 giorno di guerra.
Lo scrivevo in un commento ai fatti di Nassiria.
Come detto non ho risposte da darti, ma in questo momento chi ti può dare risposte?
E’ giusto parlare di disarmo, ma sono le armi che adesso stanno facendo sentire la loro voce, e sono le armi di una nazione che ha dichiarato guerra ad un’altra nazione.
Non sono le armi di quella nazione che è intervenuta per aiutare un’altra nazione.
E non è cosa da poco.
Per la spesa militare spendiamo sempre di più e non solo per l’acquisto di nuovi armamenti.
Spesso sotto la voce di spesa per il militare si inseriscono anche quelle spese dedicate al finanziamento per lo sviluppo di nuove tecniche di lavorazione che, come per la Formula1, saranno poi introdotte anche per gli usi civili.
Te lo scrive uno che nella sua vita in fabbrica ha anche lavorato su commesse militari, che con un accorto sviluppo ha portato a migliorie tecniche di lavorazione che sono servite allo sviluppo di nuovi motori meno inquinanti e più performanti.
Caro Claudio ci sentiamo impotenti perché siamo impotenti.
La nostra forza può essere solo la solidarietà e il boicottaggio.
Si proprio il boicottaggio, una forma di protesta non violenta, ma efficace.
I nostri Stati devono fare la loro parte nell’imporre sanzioni che colpiscano nell’economia mentre da parte nostra se riusciamo ad evitare l’acquisto o a limitare il consumo di beni provenienti da quelle nazioni belligeranti sicuramente un danno economico lo portiamo, nel nostro piccolo.
Sto pensando che appena tutto ciò finirà, perché finirà, l’Ucraina avrà una grande mano dalla comunità internazionale per la ricostruzione, ma in Russia chi ci vorrà ancora andare, anche solo per turismo?
Quanti anni dovranno passare prima di tornare ad una parvenza di normalità?
E , riprendo il mio articolo, quanto tempo passerà per cancellare l’odio che ora esiste fra i due popoli.
Come scritto risposte non ne ho, forse la speranza è che il popolo russo, in dissenso con questa classe politica, riesca a spodestare nuovamente lo zar.
Poi penso ai colloqui fra i vari capi di stato, europei, americani, turchi e cinesi, tutti a dichiarare che la guerra economicamente fa male a tutti.
E penso alle dichiarazioni farneticanti di uno che si definisce cantante perché è riuscito a vincere un Sanremo targato Fininvest con una canzone sui piccioni e di un vecchio giornalista bergamasco che hanno spiegato che la guerra poteva durare mezza giornata: sarebbe bastato che l’Ucraina si fosse subito arresa perché cosa poteva sperare di fare un topolino di fronte ad un elefante?
E mi viene in mente quel bel film del 1974 diretto e interpretato da Alberto Sordi, “Finché c’è guerra, c’è speranza” e allora capisco quelle dichiarazioni “la guerra ECONOMICAMENTE fa male a tutti”.
Dei morti ammazzati chi se ne frega.
Perché sui libri di storia un giorno leggeremo di questi statisti, ma dei bambini, degli anziani, delle donne e degli uomini caduti per l’idiozia di questi potenti chi se ne ricorderà?
Forse solo i loro parenti finché ci saranno e poi saranno dimenticati come i tanti morti partigiani dei quali oggi , ogni tanto, leggiamo un nome su una lapide, ma che di loro non sappiamo più assolutamente nulla.
Caro Gian,
ricordo benissimo il tuo commento, io continuo testardamente a cercare delle risposte, anche se sono cosciente di non trovarle, almeno non tutte. Sulle spese militari il mio continua ad essere un No deciso e irrinunciabile, se si vuole investire su motori meno inquinanti e più performanti bene – anche se anche su questo avrei molto da ridire – però perché tutto questo deve passare dalla voce “militare”. L’idea che chi ha una divisa è più bravo di un altro non mi piace, le stesse cose che oggi sono in mano all’Esercito – vedi protezione civile, campagna vaccinale – potrebbero essere fatte da un ente non armato e credo a costi inferiori. Concludo dicendo che il finale del tuo commento – che sottoscrivo – é la triste conclusione di ogni guerra. Rimangono le domande…