di Guido Bigotti pinterest.com
Innumerevoli le sofferenze nel ciclismo del passato, la storia di Honoré Barthélemy
Nel 1920, durante la tappa del Tour de France in direzione Aix-en-Provence, il buon Honoré Barthélemy cadde battendo il viso a terra. Si rimise in sella, instabile e sanguinante e avanzò sulla strada traballando. Aveva la vista annebbiata, le braccia gli facevano un male cane e la schiena gli dava delle fitte così acute che dovette rivolgere i manubri verso l’alto per non doversi curvare.
Solo più tardi comprese cosa era successo: la vista non era affatto annebbiata, cadendo si era procurato una commozione cerebrale, già… ed era quella la causa della sua confusione. In preda al panico, capì che era diventato cieco ad un occhio: nell’incidente un sassolino gli era penetrato nell’occhio e tra il dolore e la sofferenza non se ne era accorto.
Fosse accaduto oggi un fatto simile, Barthélemy sarebbe stato trasportato d’urgenza in ospedale, anche se ciò che rende questo racconto una storia su due ruote di grandissimo coraggio è che Honoré non solo raggiunse il traguardo della tappa, ma concluse l’intero Tour classificandosi ottavo nonostante la parziale cecità e il dolore costante. Aveva anche una spalla rotta e un polso slogato e ciononostante continuò a pedalare. Fu l’eroe della gara, e quando giunse alla linea di arrivo al Parc des Princes, la folla corse sulla pista per portarlo in trionfo.
Non c’era nulla in grado di fermarlo. Quando il Tour si concluse, si comprò un occhio di vetro e continuò a gareggiare. La protesi era perfetta per la vita di tutti i giorni e persino per correre su strade in buone condizioni. Ma la polvere delle calde estati nel sud della Francia gli creava non pochi problemi dato che, non trattandosi di un occhio vero, non lacrimava a dovere. E nei momenti in cui la corsa si faceva più intensa si metteva con la schiena dritta, toglieva le mani dal manubrio, spingeva l’occhio fuori dall’orbita e lo avvolgeva in un fazzoletto, per poi riporlo in tasca. A quel punto riempiva il buco con dell’ovatta. Se non l’avesse fatto avrebbe sicuramente rischiato un’infezione.
“Non che ci veda meglio o peggio, ma è più soffice e mi piace concedermi un vizio di tanto in tanto”, diceva scherzando.
Nel Tour del 1924 il giornalista Albert Londres lo incontrò sul ciglio della strada, durante l’epica tappa di 412 chilometri da Brest a Les Sables d’Olonne. Le sue parole furono: “Un altro corridore si è fermato a lato della strada. Lui però non sta mettendo a posto la bicicletta, bensì la faccia. Ha un occhio vero e un altro di vetro e deve tirarlo fuori per ripulirlo”. Sfortunatamente, capitava spesso che la protesi cadesse così Barthélemy, finiva col mettersi a carponi per ritrovarlo. Girava voce addirittura che ogni premio vinto ad una gara, veniva reinvestito per comprare un nuovo occhio di vetro che perdeva in gara.
Tra il 1919 e il 1927 Honoré corse il Tour ben otto volte, aggiudicandosi cinque tappe e classificandosi terzo nel 1921. Morì nel maggio del 1964, un campione dimenticato da tutti, un eroe che apparteneva a un’epoca in cui gli uomini non permettevano alle paure di rovinare i loro sogni.
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Che bella lezione che emerge dal tuo racconto..esempio di sacrificio e resilienza ,valori che,dallo sport, possono trasferirsi nella vita di tutti i giorni.
Grazie Guido.
Che storia straordinaria Guido, grazie di averla condivisa con noi
I tuoi racconti Guido sono sempre interessanti e ogni volta ci informi di avvenimenti particolari . Grazie.
Personaggi di altri tempi, valorosi e dominati da un grande spirito di sacrificio, uomini che credevano in se stessi e nelle cose che facevano. Una lezione per tutti, oggi che ogni cosa sta perdendo significato e valore. Bravo Guido per aver raccontato tutto ciò.
“ …un’epoca in cui gli uomini non permettevano alle paure di rovinare i loro sogni.”… in queste ultime parole c’è il succo del discorso…mi chiedo dov’è finito questo spirito e dove ci stiamo dirigendo. Sono convinto che la strada più facile è sempre una fregatura; i sentieri di principi, invece, formano itinerari che portano alle mete di dignità. Noi, esseri pensanti, ci stiamo rovinando con le nostre stesse mani. La storia di Honoré, è una storia emblematicoa della tenacia e della determinazione di un’epoca umana che si è persa nell’oblio. Grazie Guido per avercela raccontata in questi momenti bui dove ci ritroviamo a fare i conti con il nostro lato oscuro.
Le braccia l’occhio la schiena la testa… Erano gli anni ’20. Oggi, 2022 nipotini e amichetti al più piccolo graffio vengono immediatamente rincuorati/ricompensati – ti do il lecca lecca, il gelato, il cartone animato… – noi graffi sbucciature e peggio nei giochi rumorosi e primitivi ….e chi se ne accorgeva? I grandi avevano da mungere le mucche, potare la vigna, segare la legna, allungare l’impianto elettrico ché dallo sgabuzzino in fondo alla scala si era ricavata la stanza per l’ultimo nato. E imboccare la nonna ormai sazia d’anni, era sempre stata golosa e ora faticava a mandar giù due cucchiai di minestra. Ma erano gli anni venti. Un secolo fa.
Una bella storia di un uomo coraggioso. Penso che esistano ancora persone così e Guido, con la sua trasmissione radiofonica, ce ne fa conoscere tante, che credono in quello che fanno e aiutano gli altri. Del resto il mondo è sempre stato diviso tra bene e male. Nel 1920 l’Europa aveva appena vissuto una spaventosa guerra e un’altra ne avrebbe vissuta da lì a poco. Forse sono anche le difficoltà e i sacrifici che rendono gli uomini migliori, ma non vogliamo augurarli a nessuno. Un abbraccio a Guido e a tutti.
Guido mi è piaciuto davvero tanto. Personaggi bravi ce ne sono ancora naturalmente ma “campioni” come questo ..non nascono tutti i giorni. Bravo Guido..fare memoria di quel che è stato è sempre buona cosa…non è rimpiangere sterilmente qualcosa che non è più , è far presente a qualcuno che non ha visto mai un comportamento simile cosa si può fare con la volontà.
Ciao Guido, ho letto ora il tuo scritto, mi ha molto commosso la tenacia di questo corridore di cui non conoscevo affatto la storia. Credo che sia molto fare conoscere
Queste storie che sembrano leggendarie ma sono testimonianze di vita reale. Da ragazza seguivo insieme ai miei fratelli il tour de France e mi piaceva molto Jacques Anquetil.
Bravo Guido e grazie.
Grazie a Tutti di vero cuore per i vostri sempre bellissimi messaggi. 🥰