di Guido Bigotti Sara Migliorini
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Quest’estate ho voluto fare un viaggio a ritroso alla scoperta delle mie origini Friulane…
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Vorrei iniziare dalle mie vacanze, quest’anno scelte in modo decisamente diverso dal solito. Quest’estate infatti ho voluto fare un viaggio a ritroso alla scoperta delle mie origini Friulane sfumate dopo la Prima Guerra Mondiale dove ha visto i miei bisnonni dover abbandonare Udine e a trasferisci prima ad Arezzo e poi a Milano dopo i terribili bombardamenti che distrussero tutto e tutti a Udine e non solo… Voglio iniziare da qui perché vorrei legare il viaggio, il Friuli, la Guerra alla bicicletta.
La “due ruote” infatti ha avuto un ruolo molto importante durante la prima guerra mondiale, quando era considerato il mezzo più veloce per trasmettere gli ordini dei generali dal comando fino alla trincea. Durante il primo conflitto mondiale era stato istituito un vero e proprio reggimento che prevedeva l’ uso della bicicletta e venivano scelti uomini di notevole prestanza fisica e idonei alla fatica poiché di norma il militare in bicicletta doveva percorrere almeno 100 km al giorno su una bici che pesava circa 30 kg trasportando anche la mitragliatrice d’ ordinanza. I soldati-ciclisti andavano sempre in giro in coppia per poter trasportare nel miglior modo le armi e le provvigioni per gli altri commilitoni; un’ altra caratteristica fondamentale per essere un buon ciclista dell’esercito era quello di possedere la capacità nel cooperare e di riuscire tutti a tenere lo stesso passo per non rischiare la vita.
Nel 1911, l’allora ministro della Guerra, Paolo Spingardi, indice un concorso tra le più quotate ditte di biciclette per scegliere il modello che sarebbe divenuto ufficiale per la dotazione del reggimento dei soldati-ciclisti. La ditta Bianchi vinse quel concorso e produsse il modello 1912, che è stato quello usato dall’esercito italiano nella Prima Grande Guerra. Tra i bersaglieri più famosi arruolati nel reggimento dei ciclisti bisogna annoverare il trevigiano Ottavio Bottecchia, che si dedicò poi al ciclismo agonistico divenendo famoso in tutto il mondo per essere stato il primo italiano a vincere il Tour de France nel 1924. Ottavio Bottecchia, che proprio nella Grande Guerra scoprì il suo amore per la bicicletta, faceva parte del Sesto Reggimento Ciclisti di Bologna con il grado di caporale, e fu poi affidato al reggimento speciale dei bersaglieri che vennero ribattezzati esploratori d’ assalto.
Numerosi sono i personaggi che hanno fatto parte delle campagne in bicicletta durante la Prima Guerra Mondiale: dai futuristi, innamorati di questo veicolo, Filippo Tommaso Marinetti e Umberto Boccioni (sua una grande rappresentazione pittorica della bicicletta) fino ad Enrico Toti che venne destinato al terzo battaglione dei bersaglieri e morì a Sablici nei pressi del fiume Isonzo il 6 agosto del 1916, venendo poi decorato dal re Vittorio Emanuele III con la medaglia d’ oro al valor militare. Vorrei raccontarvi la storia di un ciclista milanese, morto durante in Primo Conflitto Bellico, si chiamava Carlo Oriani.
Carlo nacque a Balsamo il 5 novembre e fu un ciclista su strada, professionista dal 1908 al 1915. Nel 1909 partecipò al primo Giro Ciclistico d’Italia classificandosi quinto assoluto e primo della propria categoria, dando filo da torcere ai vari Ganna, Galletti (altro giovane milanese, per l’esattezza nativo di Corsico), Azzini e Cuniolo, i corridori più forti del momento. Nel 1912 vinse il Giro di Lombardia. Nel 1913 si aggiudicò il Giro d’Italia, conquistando la maglia rosa al termine della dura tappa appenninica di Ascoli Piceno e concludendo la corsa trionfalmente al parco Trotter di Milano, davanti a centomila spettatori entusiasti. Sempre nel 1913 vinse il Premio dell’Industria. Le squadre per cui corse eranola Stucchi, poi la Bianchi e infine la Maino. Oriani correva come dilettante, alternando il lavoro di muratore agli allenamenti e alle corse in bicicletta.
Andava davvero forte fin da giovane; a Balsamo lo conoscevano tutti con il soprannome di El Pucia, per via di quella fame sana che portava sempre con sé, per cui non pareva mai sconveniente ripulire interamente il piatto con una mollica di pane. Frequentava l’osteria, ma senza esagerare; andava a letto presto e il mattino inforcava la bicicletta e correva anche quando c’era la nebbia.
Nelle sfide in bicicletta quelli di Balsamo correvano contro quelli di Cinisello: El Pucia non aveva rivali. I balsamesi pedalavano su bici da corsa costruite nell’officina dell’artigiano locale Palladini, mentre a Cinisello si usavano le biciclette Fumagalli. Qualcuno andava fino a Monza o a Milano; per le sfide c’era la Brianza a portata di tubolare. Le salite delle disfide erano El Coll Briansa o la Sirtori, come avviene ancora oggi per i pedalatori locali che muovono dai paesi della cintura a nord di Milano. I Balsamesi andavano fieri del loro campione, al punto da sfiorare il fanatismo. I suoi più accesi tifosi prima di una gara solevano dire: “Che crépa la vacca ma che ’riva El Pucia” (Che muoia pure la mucca, ma che El Pucia arrivi primo). E la mucca, allora, era una delle maggiori fonti di reddito per un contadino.
Oriani, come altri suoi concittadini, lasciò Balsamo per Sesto San Giovanni (Milano) dove le industrie che stavano sorgendo offrivano una certa sicurezza economica. Nelle cronache del tempo diventò il corridore sestese, annullando l’origine balsamese, forse poco significativa per i giornalisti del tempo. La Gazzetta dello Sport del 21 maggio 1909 così scriveva: “Quando nell’inverno scorso con un referendum fra i re della strada desideravamo conoscere fra costoro chi nel 1909 avesse potuto essere loro serio concorrente, il nome di Carlo Oriani fu fatto da tutti i nostri campioni… i quali oggi devono fare realmente i conti anche con questo forte figlio della piccola e industriale Sesto San Giovanni”.
Sempre La Gazzetta dello Sport descriveva e decantava le gesta del giovane Oriani che nella tappa del 21 maggio “contende, solo, la vittoria a Ganna imponendo il suo nome fra i grandi campioni della strada”. Solo Oriani riusciva a raggiungere il varesino “dopo un inseguimento accanito”, ma non poté strappargli la vittoria. Ganna era superbo “sente che è venuto il suo momento e morirà piuttosto che cedere. Ma ciò nonostante Oriani compie una corsa degna di ammirazione e di entusiasmo”. La descrizione dell’arrivo del primo Giro d’Italia all’Arena esaltava la figura del vincitore, ma non trascura gli altri protagonisti. Descrivendo la passerella finale, La Gazzetta dello Sport scriveva: “Intanto il plauso assordante delle migliaia di spettatori non cessa, e nel momento in cui le automobili pilotano a bordo Ganna prima e dopo altre con Beni, Galetti, Rossignoli, Azzini e Canepari per il giro d’onore, le acclamazioni risuonano più entusiastiche che mai specialmente al passaggio di Oriani, che, col cappello piumato da bersagliere, compie il giro in bicicletta”.
Purtroppo la Grande Guerra interruppe bruscamente la sua carriera: Oriani venne arruolato nei bersaglieri ciclisti. Gli austriaci avevano sfondato a Caporetto; o scappavi o eri fatto prigioniero. El Pucia era un portaordini e aveva a disposizione una bicicletta da bersagliere con le gomme piene, senza camere d’aria. Quando capì che non c’era più molto da fare, il bersagliere Carlo Oriani saltò sulla sua bicicletta e iniziò a pedalare, in fuga, questa volta, dal nemico. Giunto al Piave non trovò ponti, dietro a pressare gli austriaci. “El Pucia – scrive Ezio Meroni in Una stella per lo sport – l’ha ciappâ la sua bicicletta, l’ha sullevada de terra e l’ha cuminciâ a ’traversà el Piave a pee. Quand l’acqua la gh’è rivada ai spall, l’ha sbattù püssè luntan pussìbil la bicicletta, che l’è andada a fund come un sass” (El Pucia ha preso la sua bicicletta, l’ha sollevata da terra e ha iniziato ad attraversare il Piave a piedi. Quando l’acqua gli è arrivata alle spalle, ha sbattuto più lontano possibile la bicicletta, che è andata a fondo come un sasso). A causa della traversata a nuoto si ammalò di polmonite. Provarono a salvarlo portandolo al sole del Sud, ma niente da fare: il 3 dicembre del 1917 si spense all’ospedale di Caserta, a soli ventinove anni. La moglie riuscì a raggiungerlo appena in tempo prima che spirasse. A Sesto San Giovanni si tenne il funerale, affollato come fossero esequie di Stato. Il bersagliere ciclista Oriani oggi riposa a Sesto San Giovanni nel cimitero vecchio, quello che accoglie alcuni dei protagonisti della vita civile della città, i sindaci e gli assessori del dopoguerra, i parroci e i caduti delle guerre.
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Diario Della Bicicletta ritorna martedì 26 ottobre
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Bei riferimenti storici che ci aiutano a non dimenticare chi ha dato la vita per la libertà.
Il fascino intramontabile delle ricostruzioni storiche, Grande histoire o Petit histoire che sia, sono davvero le nostre radici, la nostra identità
complimenti di cuore!
Grazie Guido, racconto davvero coinvolgente ed emozionante di gesta eroiche di persone semplici e straordinarie
Bellissimo… Grande la voro Guido…??
Grazie davvero per questo diario ciclistico. Credo che molte persone non siano al corrente che sono esistiti degli uomini cosi temerari. Chissà che c’è ne saranno ancora! Penso che queste notizie debbano essere diffuse ai ragazzi e ai giovani anche in ambito scolastico. Potrebbe servire a temprarli e a farli crescere con alti valori. Ciao Vanda
Bella ricostruzione. Emozionante e triste. Mi piace riascoltare il suono del dialetto, ricordo malinconico legato ai miei nonni..
Fai davvero un’opera importante di memoria facendo conoscere ai tuoi lettori nomi, persone, vicende che meritano di essere ricordate e tramandate, legando valore individuale, sport, storia locale e “grande storia”.
un personaggio mitico. Un eroe nazionale che al posto di stare in sella ad un cavallo, come tanti sono nei monumenti milanesi, è stato eroe in sella ad una bici. Bellissima pagina di una storia poco raccontata. Grazie Guido
Mi era sfuggita questa storia , commovente e bellissima . Grazie Guido.