di Giuseppe Rissone Umberto Scopa
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Il fascino del circo, così affascinante da volerci lavorare…
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Candido, il protagonista delle storie che ho iniziato a narrarvi nelle scorse settimane, ha da poco compiuto quarant’anni, occhiali da vecchio intellettuale, che non è, naso pronunciato, porta una capigliatura biondo slavato con una appariscente riga che separa nettamente la chioma in parti simmetriche, un paio di baffetti e pizzetto anch’essi biondo slavati, completano il suo viso. Non si separa mai – in nessuna delle stagioni – da un camiciotto a quadretti bianco e celesti, a cui a volte accompagna una cravatta color granata, corta e stropicciata. Nessun amico che si possa chiamare con questo sostantivo, qualche conoscente che spesso approfitta della sua ingenuità e indifferenza per qualsiasi aspetto di profitto. Perennemente senza soldi, di cui non si fa nessun problema, vive in un minuscolo appartamento composto da una cucina e una camera da letto, e un bagno collocato su un ballatoio, in quartiere periferico di una grande città, così periferico da non avere nemmeno un nome, viene indicato come il “posto”. Nulla nella vita di Candido è stabile, prevale la precarietà. Ogni settimana è un’incognita, Candido vive strane avventure, senza mai esternare un velo di rabbia o delusione, solo un po’ di malinconia e tanta ironia. Poi arriva la domenica, giornata in cui Candido può riposare – gli piace molto dormire – e riflettere sulla sua situazione. Tutta la settimana è in funzione della domenica, giornata attesa, sospirata, antidoto a tutti i mali, foriera di libertà, di cui Candido non ci racconta nulla, quello che vuole che sappiamo della sua vita, riguarda solo quello che gli accade e che in qualche modo crea, dal lunedì al sabato. E poi venne domenica…
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Ho avuto una relazione con una contorsionista, si chiamava Ottavia, aveva un millepiedi tatuato sul naso. Era così snodata che alle volte dimenticava di slegarsi e andava a fare la spesa con le braccia legate al collo. La nostra relazione è durata poco, era troppo ingarbugliata.
A uno sbuffo di vento dalla mia clandestina dimora – non pago l’affitto da sempre perché non conosco l’Iban della proprietaria e non ho nessuna intenzione di disturbarla, anche se alcune volte lei ha tentato di disturbare me, ma io non gli ho dato questa soddisfazione – esattamente in una piazzetta che in realtà è uno slargo pieno di erbacce e pietracce, ha piantato le tende un piccolo circo, di quelli che pensavo non esistessero più, quelli dove il trapezista strappa i biglietti all’ingresso, dove la donna cannone è anche la ballerina di prima fila, dove il clown dà il cibo alle bestie feroci. Così mi son detto, quasi quasi mi faccio assumere…
Nel pomeriggio, dopo aver mangiato piselli ripieni e formaggio di Ammotragus lervia detto anche muflone africano o pecora crinita o capra berbera, che acquisto dal mio amico Abasi Ouedraogo, che ha avviato una fiorente attività, d’import ma non di export, di prodotti locali del suo paese, il Swaliziland, aprendo un chiosco proprio sotto casa mia, che attiva solo alcune ore del giorno e chiude, anzi smonta, con l’arrivo di uomini in divisa, di qualsiasi divisa, nulla di illegale, però pare che gli uomini in divisa non amino i profumi dei suoi prodotti.
Ho infilato una salopette di jeans, delle scarpe di tela, e una maglietta nera, tutto abbastanza anonimo, non volevo passare per un maniaco del circo, in realtà lo sono sin da piccolo e per la relazione con la contorsionista, ma non volevo darlo a intendere per non pregiudicare l’eventuale assunzione.
Dopo aver inserito entrambi i piedi in una pozzanghera per testare la tenuta idrica delle mie scarpe di tela, e chiestomi che fine hanno fatto i chioschi dei rivenditori d’angurie e il perché gli uomini che hanno i capelli si rasano, sono giunto davanti al circo, ho scavalcato una transenna, nonostante ci fosse l’ingresso aperto, scavalcare la transenna mi dava la sensazione di essere già di casa, sono entrato nel tendone, e rivolgendomi a un clown non vestito da clown, ma con la faccia da clown, gli ho urlato: voglio lavorare nel circo!
Il clown non vestito da clown, ma con la faccia da clown, con un gesto eloquente – ha alzato il braccio destro, come per dirmi… vieni! – gesto che per me diceva che era interessato alla mia richiesta. Così ho messo i piedi nella pista, oltrepassando i parallelepipedi – non sono sicuro che questo sia il nome corretto – il clown non vestito da clown, ma con la faccia da clown, voltandomi le spalle, e camminando come se avesse dei pantaloni da clown, si è diretto verso la tenda rossa che si apre per permettere agli artisti di entrare in pista, però in questo caso nel senso contrario, e senza aspettare il mio arrivo. Dopo aver intrapreso una lotta senza pari con il drappo di panno rosso, mi sono ritrovato nello spazio che il pubblico non vede, al massimo intravede: clave, palloni, sgabelli, cappelli, bauli e altri oggetti a cui non saprei dare il nome. Il clown non vestito da clown ma con la faccia da clown, si è fermato di scatto, prendendo un tubo di gomma dicendomi vai a fare lo shampoo agli elefanti, io prima avrei dovuto chiedere che tipo di contratto mi avrebbero fatto, avrei avuto diritto alla casa viaggiante? Ferie retribuite, permessi, buoni mensa, assicurazione Inail, libertà d’iscrizione al sindacato? Di esperienze da sciampista non ne avevo, però ricordo che una volta ho lavato i capelli a mia nonna, e non avendo lo shampoo, usai del detersivo dei piatti, vennero pulitissimi, al profumo d’aceto, mia nonna per alcuni giorni ebbe strani rigagnoli di schiuma che gli scendevano dalle tempie e ogni tanto plop… plop… delle piccole bolle di sapone si erigevano sopra la sua testa.
Giungo davanti al recinto degli elefanti con il tubo di gomma in mano, ho cercato di capire meglio la situazione, guardo i pachidermi, sono cinque, tre maschi e due femmine, mi danno il deretano, l’odore non è particolarmente gradevole, il clown non vestito da clown ma con la faccia da clown è scomparso, improvvisamente dalla pompa sgorga un forte getto d’acqua, cerco di tappare il buco con il dito pollice, ma senza successo.
Dal nulla ricompare il clown non vestito da clown ma con la faccia da clown, che mi porge una bottiglietta di plastica, sull’etichetta c’è scritto Shampoo antiforfora Elephant Delicaded, il contenuto è di colore grigio con pallini di colore blu. Il clown non vestito da clown con la faccia da clown, con fare deciso e per nulla educato mi dice… datti da fare, non ho mai visto uno così lento. E’ visto che per me essere lento è un complimento, prendo la bottiglietta dalle sue mani, apro il tappo, verso una parte del suo contenuto sulla sua testa, friziono con forza, e poi sciacquo con un forte getto d’acqua. I capelli del clown non vestito da clown ma con la faccia da clown, assumono un colore grigio topo, gonfiandosi come una nuvola, alla vista di questa trasformazione non posso che mettermi a ridere, allo stesso tempo il clown non vestito da clown ma con la faccia da clown inizia a schiumare dalla bocca, a imprecare, dalle sue orecchie esce del fumo. Da questo capisco che non ha gradito il lavaggio, e non mi resta che correre verso l’uscita, all’inseguimento si aggiungono oltre al clown non vestito da clown ma con la faccia da clown, un domatore con un forcone in mano, un giocoliere che anziché far volteggiare nell’aria le clave le tira verso di me, la donna cannone che nonostante la sua mole corre come un centometrista, una contorsionista che si muove sulle braccia e le gambe intorno al collo, un lanciatore di coltelli che per fortuna sbaglia la mira e le lame vanno a conficcarsi nel carrozzone dove dorme l’uomo più forte del mondo, che aprendo la porta emette uno sbadiglio di una forza tale che tutti cadono a terra.
Approfitto di questo vantaggio, per uscire dal circo, prendo al volo, come in un film, un taxi. Arrivo a casa sudato e spaventato, con la certezza che il circo non fa per me, datori di lavoro troppo nervosi e compiti richiesti assurdi, avrei pettinato volentieri delle scimmie, ma lo shampoo agli elefanti mi è sembrata una richiesta degradante e troppo rischiosa, credo che a breve mi prenderò una vacanza, ho bisogno di riposo, lavorare sì ma con lentezza… E poi venne domenica…
E Poi Venne Domenica ritorna sabato 30 ottobre
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