Stiamo vivendo in un tempo che definirei sospeso… in attesa che qualcosa accada e/o finisca. Quello che sta accadendo – senza voler minimizzare o banalizzare – è numericamente più grave delle morti sul lavoro, sulle strade, per l’influenza, di cancro?…
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Avevo già pronta una piccola storia, che definirei personale, poi gli avvenimenti di queste settimane mi hanno convinto a metterla nel congelatore. Non voglio tediarvi con numeri, e meno ancora fare dell’allarmismo, ci pensano già diversi organi – cosiddetti – d’informazione, e tanti sciacalli da tastiera. Voglio soffermarmi maggiormente su quello che sembra essere un tempo sospeso, in attesa che qualcosa accada e/o finisca. Quello che respiro nella mia città – autobus e treni semideserti, la foto nell’articolo è stata scattata poco dopo le 18 di un giorno feriale, orario del rientro a casa… – è una sensazione di attesa, come se tutto improvvisamente si fosse fermato, non si va al cinema o al ristorante, non si può assistere a avvenimenti sportivi, le scuole sono chiuse. Ben venga la prevenzione, ne sono un fautore da sempre, però si sono messi in troppi a fare confusione, direttive diverse da regione a regione, da città a città, quando invece, da subito, il tutto doveva essere univoco, al limite con qualche distinguo per le zone maggiormente colpite dal virus. Quello che trovo assurdo e a tratti scandaloso, è la polemica politica, governo contro regioni, regioni contro governo, davanti a un’emergenza la cosa maggiormente auspicabile sarebbe la compattezza e la massima collaborazione, per le polemiche ci sarà sempre tempo, è se qualcuno ha commesso degli errori, è giusto che ne risponda nelle opportune sedi. Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani… Questa famosa frase attribuita a Massimo D’Azeglio, sta a significare che per quanto l’Italia geograficamente e politicamente dal 1861 risulti unita, evidenzia che in essa regneranno sempre culture, tradizioni e lingue diverse, cosa di per sé arricchente e originale, che diventa un problema quando si devono prendere decisioni chiare e uniformi per tutto il territorio. Quella frase, a distanza di un secolo e mezzo, è lì a dirci che regionalismi, campanilismi, spinte autonomiste e peggio ancora secessioniste, davanti a situazioni gravi – le calamità di ogni specie non hanno riguardo per nessuno – sono deleteri e dannosi. Certi atteggiamenti e le dichiarazioni di alcuni governatori del nord, fanno rabbrividire, non spostano e non risolvono di un millimetro il problema, anzi, creano polemiche e sconcerto, invece di occuparsi realmente dell’emergenza.
Questa situazione – mi auguro più breve possibile – che ha obbligato studenti e non solo a rimanere a casa, ha forse fatto riscoprire attività che sembravano dimenticate, come leggere un libro, scrivere, parlare con i vicini, un tempo dove la lentezza emerge, cosa che noi auspichiamo da tempo, senza però dover essere travolti da una pandemia, per applicarla. Il Corona Virus ha anche qualcosa di positivo, sta evidenziando come nazionalismi, localismi, e razzismi di varia specie, non valgono nulla, le epidemie non conoscono frontiere, non riconoscono colori della pelle, pensateci, alcune settimane fa eravamo noi a temere ogni persona con gli occhi a mandorla, oggi siamo noi gli appestati della terra. Chi ieri auspicava un metodo autarchico, e inneggiava alla chiusura delle frontiere per evitare l’invasione della peste, oggi, guardando più alle borse che alla realtà delle persone, invia messaggi al mondo per dire che l’Italia è un paese bellissimo, che va visitato, qui solo Totò può fornire la chiosa di quanto detto da un ex ministro: ma mi faccia il piacere!!!
Questa è sicuramente un’emergenza, però siamo sicuri che quello che sta accadendo sia peggio della consueta influenza invernale, dei morti sul lavoro, e degli incidenti stradali, dei morti per cancro? Alcuni dati, che potete verificare voi stessi sul web: morti sul lavoro nella zona della Città Metropolitana di Torino, nel 2018 sono stati 48, fonte Istat; in Italia i morti sul lavoro solo nel mese di gennaio 2020 sono 58, fonte Inail; decessi per cancro, 179.000 nel 2016, fonte Fondazione AIOM; i morti in incidenti stradali nel 2019 nel nostro paese sono stati 1505 fonte ACI Istat; l’Istituto Superiore di Sanità indica in 8.000 i morti in media all’anno per influenza, e se allarghiamo lo sguardo, pensiamo ai morti per denutrimento, guerre, infezioni, naufragi…
In questo tempo di Virus minuto per minuto – che la nostra amata televisione ci sta propinando, non assolvendo, salvo rarità, al mandato di servizio pubblico – sono venuto a conoscenza di alcuni episodi che hanno coinvolto diverse persone a me vicine – compresi alcuni redattori di questo sito – treni che non collegano Milano con Torino, treni che non passano dalla città di Lodi, sospensione dal lavoro per quindici giorni, proposte di lavoro da casa da parte di aziende che prima vedevano questa possibilità come la peste, dubbi sull’uscire dalla propria regione perché dopo ci si dovrebbe autodenunciare e mettersi in quarantena, italiani residenti in altri paesi che solo per il fatto di aver toccato il suolo italico, al loro rientro devono forzatamente rimanere a casa per due settimane, corrieri che hanno ricevuto l’invito a non far firmare sui tablet, e potrei continuare.
La memoria in questi giorni mi ha riportato a una serie televisiva – che ho amato tantissimo, tanto da ispirarmi un racconto, scritto a 18 anni intitolato L’inizio della fine – prodotta dalla BBC negli anni ’70, e seguita sulla Televisione Svizzera Italiana, e poi rivista di recente in Dvd, e tratta da un libro di Terry Nation, I Sopravvissuti. La trama si basa su uno scenario in cui il mondo intero è stato colpito da una epidemia dovuta ad un virus altamente letale, al quale è scampato solo l’1% dell’intera popolazione. Il fluire della storia non si basa tanto sul perché del virus, ma su come i sopravvissuti saranno in grado di vivere in un mondo dove nessuno produce più nulla, e dove si dovranno riscoprire vecchi e dimenticati mestieri. Non siamo nella situazione della serie televisiva, però il messaggio che arriva da essa è forte e chiaro: quello che abbiamo creato non è per sempre, e che per quanto ci industriamo non siamo noi a governare il mondo, e quando ci proviamo il risultato è una sommatoria di danni, alcune volte irreparabili.
E voi di questo “tempo sospeso” cosa ne pensate? E’ ricordatevi di lavarvi le mani, non nel senso figurato, mi raccomando, a quello ci pensano già in tanti, a prescindere dai virus.
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Foto: Giuseppe Rissone – Umberto Scopa
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