notizia scelta da Giuseppe Rissone
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C’è stato un uomo che nel 1989, quando era un ragazzino, fu denunciato…
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Quello che state per leggere non è esattamente una notizia, bensì un editoriale che fa parte di una serie denominata Piccoli Pensieri, tratto da Altritasti.it a firma di Daniela Grassi, che ho avuto il piacere di conoscere diversi anni fa. La scelta non è dovuta alla conoscenza dell’autrice bensì dal suo pensiero lucido e per quanto mi riguarda pienamente condivisibile, a voi lettori aggiungere commenti.
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C’è stato un uomo che nel 1989, quando era un ragazzino, fu denunciato con suo padre per aver strangolato e sciolto nell’acido quattro persone, e che negli anni è stato ritenuto responsabile di innumerevoli omicidi, una lista impressionante tra cui spiccano quello di una donna incinta di tre mesi compagna di un capomafia, e quello purtroppo indimenticabile di Giuseppe di Matteo, 15 anni, anche lui strangolato e sciolto nell’acido. Che fosse esecutore o mandante, poco importa…
Il nome di quest’uomo sta dietro alle più efferate stragi di mafia del nostro paese: quella di Capaci e di via D’Amelio, quella di via dei Georgofili e di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano. Morti e feriti il cui conto si perde nell’oscurità dei tempi e nelle connivenze con poteri differenti, ma morti e feriti dolorosamente veri, storie sfigurate per sempre le loro, come quelle di chi gli era vicino.
Ebbene quest’uomo, questo criminale che mai si è pentito, è morto oggi, 25 settembre e sono ore che le pagine dei quotidiani online, i notiziari della televisione pubblica e non, le radio e ogni luogo di “informazione” italiano straripano ossessivamente di questa notizia, mandano inviati davanti all’ospedale dove era ricoverato, ripercorrono la sua vita come fosse quella di un eroe, ci “informano” sulla tomba di famiglia dove sarà sepolto, su chi era al suo capezzale e così via e poco parlano, a dire il vero di ciò che ha collezionato di efferato lungo l’esistenza, forse perché ritengono di averne già detto abbastanza al momento della cattura, nel gennaio scorso.
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Tanta è l’attenzione morbosa data a questa morte, di cui sarebbe bastato, per dovere di cronaca – e magari anche per smorzare la postuma soddisfazione di un uomo che in vita è stato in fondo un narcisista patologico – uno stringato annuncio, da indurre a fare molte riflessioni e a chiedersi se non si potrebbe lì per lì allestirgli anche una camera ardente davanti a cui possano sfilare i più prevedibili e i più imprevedibili, anche soltanto così, per dare uno sguardo.
Quante degne persone saranno morte in queste ore, di cancro o di mille altre malattie, magari perché non hanno avuto i soldi per curarsi, o sul lavoro, o sulle rotte dei migranti, o chissà come e dove? Quante, in uno stato dove il welfare si sfascia e dove c’è sempre meno rispetto per la persona?
Non voglio fare il nome dell’uomo dalla carriera criminale morto questa notte, e di cui scandalosamente i cosiddetti giornalisti, come corvi continuano a riempire servizi e schermi. Condividendo queste poche considerazioni, vorrei soltanto che anche questo macabro carnevale potesse far riflettere e dare la misura della sciattezza che, per una ragione o per l’altra, ci viene quotidianamente propinata e a cui dobbiamo trovare la forza di rispondere.
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Foto: pixabay.com
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La Bradipo Notizia ritorna domenica 15 ottobre
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L’unica risposta che mi viene è una considerazione ulteriore. L’innominato criminale è stato il responsabile del passaggio da una strategia di mafia violentissima, ad una strategia di mafia affaristica molto più raminificata, connivente e subdola (silente) negli anni del pentitismo e del cambio di regime (la “seconda repubblica”). Il principale e più accentrante protagonista di quella stagione politica è morto non molto tempo fa e gli hanno concesso i funerali di Stato, sebbene comprovato avesse avuto rapporti con la Mafia e sia stato condannato per diversi capi d’imputazione e reati gravi.
È stato anche il più grande demiurgo culturale degli ultimi 40 anni di questo paese, intendendo con questa parola l’inventore e propagatore della più retriva cultura di massa, omologata e omologante, dominante anche se non totalitaria.
L’intero sistema mediatico pubblico e privato radiotelevisivo soprattutto ma anche giornalistico etc nonché buona parte della classe politica e dirigente attuale sono il frutto della sua “impronta”.
Il trattamento e la narrazione del capomafia è quindi anche un effetto coerente con questa implicazione (denunciata e profetizzata già in anni lontani) tra apparati dello Stato, sistema imprenditoriale, e editoria di massa in un Paese – come ci teneva a ricordare Camilleri – ancora profondamente ignorante o semianalfabeta che si lascia influenzare da questo tipo di cronaca e narrazione dei fatti.
Il tutto solidamente appoggiato da un sistema deregolamentato che segue – in maniera legale ma piratesca – gli stessi obiettivi della Mafia: il profitto e la speculazione capitalista. Un titolo come “Gomorra” evidenzia efficacemente questa inestricabile osmosi e convergenza del sistema, che accetta molto di più le infiltrazioni mafiose, i soprusi dei più potenti che non l’accoglienza di disperati o le politiche di emancipazione e progresso (da non confondersi con lo sviluppo – vedi su YouTube la distinzione che ne fa Pasolini) per le classi meno agiate, i soggetti fragili o i nemici creati dalla propaganda della paura e della minaccia che oggi sono prevalentemente gli immigrati.
Anche su questa lotta civile e a suo modo partigiana dovrebbe essere tenuta in alto riguardo la memoria e nel suo piccolo questo articolo si dissocia dallo storytelling ufficiale e fa il suo onesto dovere.
Io non mi sento italiano, ma non di rado soffro per le contraddizioni e le corruzioni di cui mi sento ignaro “replicante” e virus…
Ma questo è solo un atto di sfogo personale.
Quanto volevo aggiungere alla critica del mondo culturale e politico e del modo di fare cronaca e di incensare certi personaggi, ho rimarcato la prima anomalia palese che può essere considerata effetto di una certa società e causa di un suo deterioramento ulteriore e deleterio. Penso in un modo o nell’altro nelle vite (e teste) di ognuno di noi. Occorre trovare degli strumenti, degli anticorpi, di restenza, resilienza e divergenza.
La lentezza è uno di questi?
Sarei aprioristicamente convinto di ciò. Purché non nasconda e dichiari – ancorché retoricamente – la sua opinione e continui ad agire in modo non violento e non subdolo, libero e responsabile.
Scusate l’inevitabile retorica, ma ormai è Storia. E ciascuno di noi potrebbe aggiungere dettagli personali o ulteriori considerazioni.
Buon commento.