Orchi Senza Un Perchè

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I drammatici casi di femminicidio non ultimo quello fra Giulia e Filippo, impongono una riflessione che vada oltre una semplice risposta di genere.   
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La comunicazione mainstream ormai è evidente come assuma pedissequamente i caratteri delle sassose fiumare del Sud Italia: accade l’evento “forte” (per esempio, l’ecatombe di immigrati nel Mediterraneo; una guerra che esplode qui o là; il rave-party oceanico disturbante il quieto vivere borghese..) e d’improvviso il torrente straripa per un paio di settimane in un profluvio di commenti a manetta; perennemente gli stessi, trasformandoci in 50 milioni di esperti; fino alla nuova “bomba”, fino alla secchezza più tetra da sempre.
Tocca stavolta all’ennesimo caso di “femminicidio”, distintosi per l’angoscioso settimanale inseguimento mass-mediatico del giovane presunto omicida fino alla sua resa incondizionata. Game Over! E giù l’ondata ‘tsunamica’ di analisi antro-psico-sociologiche di quanto accaduto. E fin qui va bene, ci siamo abituati.
Ma quel che stona ad una mente -quella che qui propone il trema- già provata di chi ne ha viste da un po’, è che non si riesca ad andare oltre il medesimo risultato: 
siamo all’ennesima atroce rappresentazione del dominio patriarcale sulla donna nella società maschilista.
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Ovverosia… 
Mettiamoci lo scriba di Tempio Aperto il quale, rammentiamolo a sua miserevole attenuante, reca dal concepimento lo stigma di maschio (e per di più datato): che ha impresse nella sua zucca le manifestazioni degli anni ’69-’70 ed oltre del ‘900 coi pollici e indici ben alzati, uniti a forma di vulve elette a simbolo di una lotta per il loro riscatto liberatorio e le riforme sul diritto di famiglia che ne seguirono. Costui da quasi sessant’anni è imbevuto -come tanti altri, si vuole ipotizzare- dai messaggi pedagogici ed insegnamenti etici prima ricevuti in gran parte dalla madre, poi dalle maestre elementari, poi da una congerie di stimate professoresse. Sempre lui è stato poi bene/maledetto dalla sua capa e dalla capa della capa sopra il proprio capo nello svolgere il suo lavoro. Infine l’ometto è pure governato da Roma da una signora cui le viene contrapposta all’opposizione un’altra signora.
Apprende il medesimo figuro da fior di massimi cattedratici, principesse e principi del giornalismo e dei salotti TV, che la cento-quinta vittima di genere nel 2023 in ambito domestico/familiare e dintorni, così come quelle che l’hanno preceduta, è solo la punta visibile di un inestinguibile regime sociale dove la donna soggiace ad un tale disvalore, in quanto ‘donna’, che di fronte ad un suo “no!” può rischiare anche la vita. Ovvero la situazione, secondo l’analisi prospettata, sarebbe in buona sostanza rimasta quella inscenata dalla famiglia di Delia nel film “C’è ancora domani”, in questi giorni ampiamente distribuito nelle sale cinematografiche di tutt’Italia, ambientato circa 77 anni orsono. 
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Ora, chi vi scrive si sottrae e vi risparmia da ogni disquisizione in argomento, non essendo in possesso dei titoli adeguati per farlo. L’argomento è di una delicatezza suprema. Ma non può sottrarsi dall’osservare che il limitare a quanto sopra la lettura di eventi dove in primo piano è l’efferata irrefrenabile violenza mortale sprigionata da un uomo su una donna, che si reitera in Italia ogni tre giorni circa, indipendentemente dall’età, dall’estrazione sociale, dal livello di istruzione o di censo,  lascia la risposta con un vuoto talmente ampio da rendersi paragonabile a quell’assoluto vuoto esistenziale di quel ragazzo -senza per questo minimamente giustificarlo o comprenderlo- di fronte ai disperati “no!” della sua vittima. 
Meritiamo, potenziali attori delle nostre tragedie, di ulteriori risposte per capire cosa mai ci stia succedendo.
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Foto: pixabay.com
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Tempio Aperto ritorna venerdì 15 dicembre
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