Ocho Rios

di Rino Sciaraffa

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Frutti, maschere, ombre e giochi di colore

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Ocho Rios è nel nord dell’isola giamaicana e fu un villaggio di pescatori il cui nome tradisce la corrente anglofonia del Paese. Otto fiumi, è il suo nome tradotto dal castigliano, a memoria di come l’Armada Invencible, di Filippo II di Spagna, fu per secoli padrona indiscussa di questa parte di mondo.

Oggi passeggiamo nel mercato di questa località che, come tutta la Jamaica, è composto di tonalità di colore esagerate e di una vivacità unica. Ho visto diversi mercati alle stesse latitudini geografiche e generalmente sono segnati da una demarcazione netta tra aree ad alta attrattiva turistica e mercati per i locali, limite che non permette interscambi perché i turisti non troverebbero nulla di interessante, mentre i locali non se ne fanno niente di oggetti economicamente distanti da comprare ed inutili quando la vita è legata all’ essenziale. La cifra di mondi diversi, seppur localmente contigui, è questa: da un lato la capacità economica e dall’altra la mera sopravvivenza.

Le bancarelle di Ocho Rios riflettono la cultura locale con le particolarità etniche di queste isole tropicali. Qui si mescolano indistintamente turisti e locali, ciascuno riconoscibile nel mélange di colori ed oggetti che affollano le bancarelle. Prevalgono, ad appannaggio dei turisti, tutti i richiami culturali dell’Isola: dalle foto di Bob Marley ai cappellini rasta, all’artigianato etnico che ha molto di africano più che caraibico.

Primeggiano maschere tribali, giganteschi volti fatti di legno, le cui fattezze sono un miscuglio fra animale ed umano. In effetti, culturalmente, esse rappresentano uno “spirito animale” con due risvolti: uno esalta la ferocia umana, la sua interiore vocazione alla guerra e l’altra esorcizza la paura, per cui, le maschere servivano ad allontanare l’azione di animali predatori o di “spiriti” maligni. Dentro questa simbologia c’è il paradosso ambivalente di una violenza interiore che vuole scongiurare la violenza che si può subire.

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Il market stesso, con un suo prodotto tipico locale, l’ackee, segna questa linea indistinta tra un frutto da mangiare (vita) e la morte. Originario dell’Africa occidentale, come tutte le maschere appese nelle bancarelle, questo frutto coloratissimo è comunemente associato al “ackee and saltfish”, piatto nazionale giamaicano, ovvero merluzzo essiccato servito con lo yam, platani fritti o pane giamaicano.

Vita e morte sono dentro l’ackee, infatti gli arili di questo frutto, se colti immaturi sono velenosi ed è tipico sentir dire da un giamaicano che, se non lo sai aspettare (la maturazione del frutto) la morte non ti aspetta; letteralmente? crepi subito!

Questo detto sentendolo in lingua patois giamaicana è molto musicale, allegro quanto disarmonicamente stride perché parla di morte. Un mercato coloratissimo, vivace, con musica reggae che rimbalza in ogni bancarella, venditori che ti attirano simpaticamente al loro riparo mobile pieno di oggetti artigianali, che hanno voglia di contrattare con te, in una sfida nella quale l’acquirente-vincitore sembra di aver conquistato qualcosa a buon prezzo ed il “vinto” quanto si aspettava.  Un luogo nel quale primeggiano gli incontri fra le persone mediate dagli oggetti piuttosto che il contrario. Un mercato nel quale la naturale dimensione della violenza (maschere africane) e della morte nel “cibo” (ackee) sono messe sullo sfondo rispetto ai colori vividi ed allegri presenti. Il colore nasconde il grigio della morte e del terrore che esso genera nella vita.

Foto: tripadvisor.it

Il Mondo In Parole Povere ritorna martedì 6 febbraio

14 Comments

  1. Franca Reply

    Che voglia di vedere, sentire, odorare questo mercato… Come sempre Rino riesci a descrivere in modo eccellente facendo vivere nella mente questi luoghi così lontani e chissà se potrò mai raggiungere. Grazie

    1. Rino Reply

      Cara Franca…si la Jamaica è meta turistica ambitissima… merita visitarla. Come sai io non ci ero andato da turista e le poche cose che ho visto le racconto.

  2. Rossana Zanetti Reply

    Dai tuoi racconti nasce la voglia di viaggiare, di andare di persona ad immergersi in questi luoghi colorati e viverli, viverli con tutta la gioia che riescono a trasmettere e di cui tu ci rendi partecipi. Grazie

    1. Rino Reply

      Grazie cara Rossana per il tuo commento… viaggiare e conoscere culture nuove è straordinario. Grazie del tuo sempre apprezzato commento.

  3. Cristian Zanca Reply

    Grazie Rino per questo racconto così bello e reale che sembra di essere proprio lì in mezzo alla gente che passeggia fra le bancarelle.

  4. CLAUDIO CAVALIERI Reply

    Grazie caro Rino. Ho letto solo ora il tuo articolo ma sono rimasto piacevolmente colpito e stupito da tutti i dettagli che riesci a evidenziare con molta varietà e sapienza. È vero….come è già stato scritto sopra…sembra di essere proprio lì presenti…..

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