Partendo dalla visita torinese di Greta Thumberg, datata settembre del 2019, e dalle migliaia di giovani in strada a manifestare, l’autrice dell’articolo va oltre, analizzando le criticità e le prospettive di questo movimento…
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Ettore è un giornalaio o se preferite edicolante, il suo chiosco è situato a pochi passi dalla fermata di un tram, in una zona semi centrale di una grande città. Dalla sua postazione, come fosse affacciato a una finestra, vede ogni giorno passare centinaia di persone, altrettante si fermano per acquistare quotidiani o riviste o anche solo per dare un’occhiata alle copertine.
Ettore, sfoglia decine di giornali e periodici ogni giorno, ma non si accontenta del cartaceo, ama navigare con il suo computer portatile alla ricerca di fatti e approfondimenti che spesso non hanno spazio sui mezzi d’informazione cartacei. Ettore, è un personaggio scaturito dalla mia fantasia, e nel mio immaginario lo vedo scegliere ogni quattro settimane le quattro notizie che l’hanno maggiormente colpito e inviarle alla nostra mail…
Ettore fatica, in questi mesi, a mantenere l’appuntamento con voi lettori, sono già tante – forse troppe – le proposte che arrivano dal web, quindi ha deciso di prendersi del tempo per cercare qualcosa d’interessante, che fosse stato scritto prima dell’inizio della pandemia. E’ dopo aver sfogliato decine e decine di riviste, settimanali e quotidiani, datati non oltre la metà di febbraio 2020, ha trovato l’articolo giusto, che vi propone per intero sulle pagine di bradipodiario, è tratto dal Notiziario Fgei dicembre 2109 (Federazione Giovanile Evangelica In Italia) a firma di Carlotta Monge. Non aggiungo altro, buona lettura….
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Motivo dell’assenza: sciopero per il clima
Incredible pictures from the #climatestrike around the world! Millions are marching today again!! This is Torino, Italy! #fridaysforfuture così scrive Greta Thunberg dal suo profilo Instagram il 27 settembre 2019 e a Torino, per strada c’erano davvero migliaia di persone a protestare contro il cambiamento climatico. Quante di loro però avevano davvero coscienza del motivo per cui stavano manifestando? Negli ultimi mesi si è sentito sempre più parlare di clima, ma ancora maggior rilievo lo ha avuto la ragazzina che ha dato il via ai “venerdì per il futuro”. I suoi discorsi e le sue iniziative occupano buona parte delle prime pagine dei giornali e video che la ritraggono spopolano su qualsiasi social. Il suo messaggio accorato è chiaro, ma è davvero una novità?
Da anni ormai gli scienziati parlano del cambiamento climatico e dei rischi che esso comporta, ad esempio si è iniziato a monitorare la superficie estiva dei ghiacci tramite immagini satellitari dal 1979, e i dati raccolti dimostrano che il declino è stato continuo e lineare raggiungendo l’estensione minima dei ghiacci estivi nel 2007 e nel 20121. Inoltre, la redazione del celebre Protocollo di Kyoto risale al 1997, ma è solo negli ultimi mesi che questo enorme problema della nostra epoca è arrivato alle luci della ribalta generando una frenesia collettiva.
All’inizio del 2019 su Instagram ha avuto grande risonanza l’hashtag #trashchallenge, utilizzato da utenti della piattaforma in tutto il mondo ritratti a ripulire da soli spiagge e parchi dai rifiuti. Difficilmente, però, qualcuno di loro ha menzionato “Puliamo il mondo”, iniziativa portata in Italia già nel 1993 da Legambiente, che da allora è presente in 130 nazioni, e in Italia su tutto il territorio nazionale grazie a gruppi di volontari che ogni anno portano avanti questo progetto a livello locale in collaborazione con associazioni, aziende, comitati e amministrazioni cittadine.
Senza dubbio è adatto per i social pubblicare foto di bottigliette di plastica ripiene di mozziconi di sigaretta o di suggestivi “prima e dopo” corredati da sacchi per l’immondizia straripanti, ma è davvero così utile o fa solo bene all’autostima? È più difficile spiega- re come quei rifiuti si possano smaltire, a volte riciclare e magari come si potrebbe evitare di produrli in prima battuta, ma forse una corretta divulgazione sarebbe più utile dell’autocompiacimento per azioni che su grande scala non contano quasi nulla.
Attualmente, a livello mediatico il cambiamento climatico e il rispetto per l’ambiente sono trattati come mode; fanno notizia, generano colore, ma prima o poi le persone si annoieranno, smetteranno di parlarne e commenteranno le nuove notizie del momento. In questo senso la figura di Greta Thunberg è molto efficace nell’evitare che il livello di interesse generale cali, maper quanto ancora la ragazzina svedese riuscirà ad infiammare le strade del mondo? Le sue affermazioni decise ed assolute sono ottime per accendere gli animi degli idealisti, ma espongono facilmente il fianco alle critiche per una mancanza di profondità e di concretezza; non che questo sia un male: non spetta ad una ragazzina di sedici anni fornire analisi complesse o soluzioni pratiche.
Tuttavia, accusare i politici per questioni che a volte non dipendono interamente da loro o creare una frattura scontata tra “giovani” e “vecchi” potrebbe non essere la soluzione migliore. Al di là di discorsi ideologici legati al fatto che la Terra non appartenga né alla generazione di Greta Thunberg, come lei sostiene, né a quelle precedenti o alle future, ma che ci sia data in prestito fintanto che siamo in vita, questa lotta generazionale che va configurandosi rischia di oscurare altri fattori. Ad esempio, difficilmente si sente accostare il problema del riscaldamento globale a quello delle migrazioni quando in realtà questi due sono strettamente legati. Se, come previsto, entro il 2050 la temperatura media aumenterà di 1,5°C allora questo avrà un forte impatto sulle economie agricole e marittime. Ad esserne maggiormente colpiti saranno i paesi in via di sviluppo: gli abitanti più poveri dei paesi africani, gli anziani e i bambini, coloro che dipendono da pesca e agricoltura per il proprio sostentamento, gli abitanti delle piccole isole sparpagliate per il mondo che saranno dunque costretti a lasciare le proprie case e cercare fortuna altrove, come sta già avvenendo anche per altri fattori.
In un’ottica più immediata, le proteste dei gilets jaunes che tra 2018 e inizio 2019 hanno scosso la Francia erano dovute all’aumento del costo del carburante che avrebbe dovuto fornire i fondi necessari per il passaggio a fonti energetiche più sostenibili. Da un lato quindi si vedono persone scendere in piazza per contrastare cambiamenti che avrebbero impatti concreti e scomodi sulle loro vite, dall’altra studenti che sfilano portando slogan lapalissiani o goliardici come “there is no planet B” o “fuck my pussy, not the earth”.
Per di più, in Italia la manifestazione del 27 settembre è avvenuta con il benestare dello Stato, che ha autorizzato i giovani a saltare un giorno di scuola. Sicuramente non ci sarebbero stati così tanti giovani per le strade a manifestare se non ci fosse stato il via libera ministeriale, ma scendere in piazza non può e non dovrebbe essere gratuito. Scegliere di protestare dovrebbe comportare un potenziale rischio (un’assenza accumulata a scuola, un giorno di stipendio non pagato, ecc.) e una conseguente assunzione di responsabilità nella scelta di farlo ugualmente, anche per cause che siano meno la moda del momento.
Se è lo Stato a stabilire quali sono le cause giuste e dunque giustificabili, allora la scelta di scendere in piazza viene snaturata e svalorata in partenza poiché un’alternativa meno rischiosa non c’è più e, per riprendere in parte le parole della giovane svedese, allora non è solo il futuro che viene tolto alle nuove generazioni ma anche la possibilità di una scelta che sia davvero un’assunzione di responsabilità, a dispetto di quanto i genitori o lo Stato permettano.
Quindi, forse, sarebbe bello vedere qualche giovane in meno in piazza ma sapere che c’è una maggiore consapevolezza del problema e che questa vada oltre all’ecologismo da salotto.
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Pagina a cura di GIUSEPPE RISSONE
Foto: fanpage.it – Gabriele Rissone
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