L’articolo è stato pubblicato il 2 ottobre 2023
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Noè scoprì la pianta della vite… proveniente dal Paradiso?
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Sicuramente la scoperta migliore che fece Noè fu quella della pianta della vite.
Adamo aveva portato con se dal Paradiso dei chicchi di uva, e dove non poteva che crescere la vite se non in Paradiso?!? Che la vite provenisse dal Paradiso lo scrisse Filone in “L’Agricoltura”, di diverso avviso sono altre fonti che affermano che egli, Noè, prese con se tutte le piante esistenti per poter coltivare la terra, e fra di esse anche i semi della vite.
Ma l’Adamo scacciato non aveva pensato altro che a un frutto ristoratore per affrontare il cammino che lo attendeva verso la Terra e così mangiandone e sputandone i semi lungo la sua strada ne aveva iniziata la diffusione .
Noè, trovandola e allettato dalla forma curiosa del grappolo, la assaggiò e scoprì che era di suo gradimento e decise che valeva la pena coltivarla: erano nate la viticultura e l’enologia. Egli perse così il epiteto di “giusto” per quello di “uomo della terra” e da subito il vino da lui prodotto causò la prima ubriachezza e la prima schiavitù.
Passava di lì per caso Satana, il quale non passa mai a caso, ma aveva un sesto senso nell’appalesarsi quando l’uomo era in procinto di mettersi nei guai: chiese a Noè ciò che stesse facendo e, quando questi gli rispose che stava impiantando una vigna produttrice di un frutto che se spremuto produceva un succo dolce sia fresco che secco e che rallegrava il cuore degli uomini, decise di mettersi in società con lui e fondarono la prima cantina sociale della storia.
Allora Satana sgozzò un agnello, un leone, un maiale e una scimmia annaffiando con il loro sangue le radici della nuova piantina perché prima di berlo l’uomo è innocente come un agnello, se ne beve con misura si sente forte come un leone, se ne beve più di quanto può reggere diventa simile a un maiale e se ne beve fino a ubriacarsi si comporta come una scimmia poiché balla, canta e dice parole oscene senza sapere più quello che fa.
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Secondo un’altra leggenda Noè vide un caprone mangiare uva selvatica e ubriacarsi per questo e allora il nostro progenitore decise di piantare una vite irrigandola con il sangue dei predetti animali.
Sebbene questi scritti già condannino l’abuso del vino e definiscano l’ubriachezza causa di ogni peccato e fonte di rovina per i singoli e per i popoli, già in “Baruc Greco IV” il consumo moderato del vino è consentito quando non consigliato a scopo terapeutico, e, come afferma Origene, che la vigna di Noè era germogliata dall’albero della conoscenza e il vino è buono nelle regioni irrigate dall’acqua del Paradiso e cattivo deve giunge quella della Gheenna.
Pare che la vite compaia sul pianeta 200 milioni di anni fa nella zona del Caucaso e reperti fossili ne affermano la presenza in Europa da almeno un milione di anni, ma la tecnica di coltivazione della Vitis Vinifera Silvestris inizia solo 5.000 anni fa con l’uomo Neolitico che produceva bevande derivate da succhi di uva; furono i Fenici a portare la vite e la prima forma di vino in Grecia, da qui, con le colonizzazioni, giunse in Italia meridionale e con Etruschi e Romani si diffuse nel mondo allora conosciuto raggiungendo immediatamente l’approvazione dell’uomo che le dedicò speciali protettori come il dio Dionisio per i Greci e il dio Bacco per i Romani.
E furono proprio le Legioni di quest’ultimi che diffusero il vino in tutti i territori dell’Impero, e Lucio Giunio Moderato Columella ci tramanda nel suo “De Re Rustica” una già vasta trattazione sulla viticoltura e le “pratiche di cantina” ancora valide e attendibili ai giorni nostri, tanto che erano già codificati gli elementi base per la scelta delle aree idonee alla coltivazione di determinate qualità di vite in base ai terreni.
Ahh! questi antichi Romani, quanti debiti abbiamo con loro…
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Noè decise subito di impiantare una vigna e di coltivarla: dotato come era dei suoi grandi poteri appena seppellì un acino crebbe una vigna con i suoi bei grappoli che prontamente mise sotto torchio, ne spremette il succo, lo bevve e fu immediatamente ubriaco e disonorato… il primo ubriaco della Storia! Aveva inventato il vino, ma non lo reggeva…
Non è dunque certo che il “frutto del peccato” fosse una mela, e, d’altra parte, nella Genesi non è mai specificato e secondo gli studiosi si tratta dell’ennesimo errore di traduzione dal testo ebraico nato in periodo medievale a causa delle numerose trascrizioni e interpretazioni dal greco al latino fin o al volgare.
Nel primo libro della Bibbia, a proposito della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, è scritto che essi colsero il frutto di un non ben specificato “albero della conoscenza”.
Secondo i biblisti l’identificazione con l’albero del melo avvenne soltanto nel Medioevo, dovuta al fatto che il sostantivo neutro latino “malum” ha sia il significato di male che di mela, e in Europa, perché, se tra le altre cose accettiamo il presupposto che il Giardino dell’Eden si trovasse in una regione del Medio Oriente, non possiamo non considerare che ai tempi della stesura del Vecchio Testamento il melo era pianta assai poco comune in quell’area geografica.
Ma se il “frutto proibito”, espressione in senso figurato che risale solo a partire dal quindicesimo secolo per significare il peccato e l’origine dell’eterno castigo non era una mela, allora qual è l’albero?
Tra i frutti ipotizzati ci sono l’uva, il melograno, il cedro e persino l’arancia.
Tuttavia la maggior parte degli studiosi di materie bibliche concordano per il fico, in quanto nella cultura giudaico cristiana esso rimanda alla sfera della sessualità e all’idea di maternità e nutrimento, e questo potrebbe spiegare perché subito dopo il peccato Adamo ed Eva si coprirono con foglie di fico come quasi tutta la tradizione agiografica riporta. (Continua…)
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Foto di copertina: pixabay.com
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Effettivamente tra il fico e la vite sono passati fiumi di parole prima e di inchiostro dopo.
Dalla notte dei tempi, come si suol dire, ci si arrabatta sulla consistenza del frutto proibito che cade, o viene spiccato dall’albero della conoscenza. Come disse il maestro Pelagia Vlassova, mamma di Pavel ne “ La madre “ di Massimo Gorky: “ Il sapere non serve, ci vuole La bontà !”.
Effettivamente in questa società liquida, come l’ha definita un famoso sociologo contemporaneo, il sapere non trova il plauso della ciurmaglia che si spela le mani sui social per gli influencer, solo apparentemente ignoranti e imbonitori del mercato. Se il liquido ha una certa gradazione alcolica, il risultato e l’imbriacatura generale. Se pensiamo per esempio, alla truffa finanziaria dei contratti “ Future “, possiamo comprendere come le organizzazioni multinazionali abbiano trovato il sistema di far guadagnare cifre stratosferiche a pochi, attraverso l’ingiustificato aumento delle materie prime, facendo credere una carenza inesistente a molti. Pare che le riserve di gas fossero più che sufficienti a far fronte alla richiesta del mercato… quindi gli aumenti siano stati solo il frutto di una manovra speculativa. Così è se vi pare.
Anche i governi raddrizzano i loro conti tassando il plus valore di tali speculazioni. Lo stesso accade per le AASSLL, che fissano i controlli al CUP alle calende per assicurare lo stesso controllo a breve in “intramoenia “. Così guadagnano un extra sia il medico che l’ASL a spese dell’utenza. I pazienti più poveri rinunciano alla visita, o all’analisi… Se muoiono saranno un onere economico in meno. “ Nunc est bibendum, quam minime credula postero. CARPE DIEM “ Orazio da Venosa aveva compreso molto. Oggi va peggio. Non mi sento a mio agio in questo mare di ingiustizia. Non sono tranquillo in questa gabbia di matti. Vivrò gli ultimi anni della mia vita in silenzio. Senza selfie. E scusate se è poco. Cin cin, alla salute!
Questo Noè comincia a starmi un po’ sulle palle…
Dai tuoi articoli precedenti è già emerso che fu Noè a “inventare l’aratro, la falce, la zappa e tutti gli attrezzi atti alla coltivazione della terra” e va bene; poi ci hai detto che, testuali parole, “prima di Noè la mano dell’uomo era un blocco unico e solo con lui apparvero le dita” e ci può stare, anche se quest’ultima notizia lascia un pochino perplessi: se Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma le dita le ha poi introdotte Noè, significa che le mani di Dio sono ancora in blocco unico? oppure il Creatore ha fatto l’upgrade ed è passato alla mano 2.0 copiandola da una sua creatura? Vabbè, poco importa, plagio o no, la mia attenzione oggi è per Noè. Questo patriarca, già arcinoto per essere stato il primo armatore della storia, quello che ha organizzato la crociera più famosa che si ricordi, sembra che abbia fatto tutto lui! Mi dava già sui nervi settimane fa e adesso mi tocca sentire che è stata di Noè anche la prima cantina sociale della storia! ci dici che ha inventato lui la viticultura e anche l’enologia. E che non pago di tutti questi primati, lui che già poteva fregiarsi dell’appellativo di “giusto”, volle primeggiare pure nel vizio e passare alla storia addirittura come primo uomo al mondo a essersi ubriacato! Per me che, forse per invidia, ho sempre provato un po’ di antipatia per i primi della classe, questo vecchio barbuto sta diventando un’ossessione.
L’altro giorno mia moglie faceva le parole crociate e mi ha chiesto “due verticali, il primo uomo nello spazio…” e io, senza nemmeno riflettere, prima ancora che mi dicesse: “di sette lettere…” d’impeto avevo già risposto: “Noè!!!” capito? Un’ossessione!
I miei nonni e mia madre sono nati e cresciuti tra Langa e Monferrato ed io da sempre
porto con me l’immagine indelebile di mio nonno che, nella cantina della nostra casa di Corso Principe Oddone in Torino, dentro una bacinella di Moplen, pesta l’uva con i piedi per fare da sè un po’ di vino, così come, mi raccontava, facevano ai suoi tempi, al paese. Mi emoziona ancora ricordarlo perchè, essendo piccolo, dovetti insistere per provare anch’io quell’insolito gioco e lui acconsentì. Altro che Bacco e Dioniso: era mio nonno Candido, ai miei occhi di fanciullo, il vero dio del vino. E non era da meno la mia brava nonna Maria che, a quei tempi, con pochi semplici ingredienti, mi introdusse ai sapori della buona cucina piemontese. Ma ecco che a smorzare l’onda di commozione per quei cari ricordi dei miei avi e delle loro tradizioni di gente nata povera nelle campagne del Piemonte, mi si presenta un Noè che il primo vino l’ha fatto già subito col torchio!
Questo oggi l’ho veramente vissuto come un attentato alle mie radici, la goccia che può far traboccare.
Vedo che questo articolo non è concluso, che è solo una prima puntata; ci sarà dunque un seguito… cosa ci aspetta ancora? Guido però ti avverto: se il mese prossimo ci verrai a dire che Noè ha inventato anche la bagna càuda, lo giuro, sarà l’ultima volta che guarderò la tua rubrica! Bisogna mettere dei paletti; non toccatemi la bagna càuda o le acciughe al verde: quando è troppo è troppo! te lo giuro, se scoprirò che Noè c’entra qualcosa, mi spiace, ma avrai perso un assiduo lettore! A buon intenditor…
Spero che Guido non si arrabbi troppo, ma i commenti a questo articolo sono altrettanto interessanti e l’ironia di Claudio mi ha strappato diversi sorrisi. Aggiungo che secondo me Noè non ha inventato la bagna cauda ma il fritto alla piemontese non lo escluderei.
Caro Giuseppe,
non ho mai messo commenti ai tuoi articoli, ma fino a oggi li avevo sempre letti… però grazie a questa “boutade”, al momento, il lettore te lo sei giocato tu!