Ho Visto La Russia

di Umberto Scopa Umberto Scopa

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Ho visto la Russia (Memoria di Padre Giovanni Brevi, Cappellano militare)


Questa lettura è l’estratto di una lunga memoria d’archivio, preziosa e dimenticata. Non vuole essere un atto di accusa contro il paese teatro degli eventi, non è questo il senso, anche se l’attualità potrebbe spingere molti a farlo. Il suo valore è un altro. È il valore della memoria sofferta di un essere umano travolto come tanti da una tragedia collettiva che la storia dell’umanità ha riproposto troppe volte e in troppi luoghi del mondo come un disco rotto. Giovanni Brevi è l’autore di questa memoria. È stato un cappellano militare al seguito di tanti soldati italiani costretti ad avventurarsi nell’inferno della campagna di Russia nella seconda guerra mondiale. Appena rientrato in Italia ha raccontato la prigionia dopo la cattura da parte dei russi. È una lettura struggente, e comprendo chi non si sente di accollarsi con l’ascolto un sovraccarico di angoscia, ma io la ripropongo per chi come me sente di dover onorare questa memoria di vita vissuta, come se fosse quella di un bisnonno che chiede di tenerla viva perché altre strade non ci sono per aver un futuro che ce ne scampi. Colpisce infine in questa galleria di orrori come la speranza o la fede, sappiano sopravvivere e guidare il cammino di chi vi si aggrappa anche nel le avversità più strazianti.



  Il Contastorie ritorna giovedì 9 giugno


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2 Comments

  1. Guido Bertolusso Reply

    Ringrazio Umberto per il ricordo della triste memoria e per l’ospitalità, di cui approfitto per azzardare un parallelo tra Benito Mussolini e Palmiro Togliatti.
    Di zio Lorenzo, fratello maggiore di mio padre, ritornò dalla Russia solo una lettera datata 8 settembre 1942, poi più nulla; si seppe molto più tardi che era nell’elenco dei militari sepolti nel cimitero dell’Ospedale russo 1149, come alpino inquadrato nella Divisione “Cuneense”.
    Oltre l’interesse storico per una vicenda italiana relativamente recente si era aggiunta in me la voglia di saperne di più, per capire che cosa era successo, a lui e a migliaia di altri suoi commilitoni.
    Le cause della tragedia che investì prima il corpo di Armata CSIR (Corpo di spedizione italiano in Russia) dalla metà del luglio 1941 fino all’aprile 1942 a cui si aggiunsero successivamente altri due corpi di Armata, l’ l’ARMIR (Armata Italiana in Russia) dall’agosto 1942 fino alla Ritirata di Russia dell’inverno 1942-1943, sono noti e storicamente dettagliati, certi e inconfutabili.
    La volontà di Mussolini di non essere da meno del padrone alleato Hitler e di partecipare ad una “passeggiata” che avrebbe aumentato le sue ambizioni politiche, nonostante le remore di pochi generali consci dell’inadeguatezza del nostro esercito in fatto di attrezzature, armi e sussistenza: le nostre formazioni “motorizzate” raggiunsero quasi esclusivamente a piedi e con il solo aiuto dei muli il fronte a cui erano destinate, attraversando l’Ucraina fino alla riva del Don per centinaia di chilometri con marce di oltre 40 km al giorno portando in spalle tutte le loro dotazioni; l’insipienza e la supponenza classica dei Comandi militari italiani ancora guidati da chi già aveva sbagliato a Caporetto e poi in Albania, ma era stato promosso e avanzato di grado;
    la rabbia dell’URSS contro i Tedeschi e i loro alleati e il loro incredibile numero di “carne da cannone” fecero la differenza.
    Per noi fu l’ennesima catastrofe umana e militare.
    Neanche le relazioni dell’Ufficio storico dello stato maggiore dell’Esercito sono del tutto attendibili a causa della disorganizzazione e della mancata comunicazione tra i vari Reggimenti in campo e, in seguito, per il generale disinteresse delle autorità politiche e militari che cercarono di coprire gli errori fascisti e con loro la sorte di morti, dispersi e prigionieri scomodi: di 230.000 uomini mandati allo sbaraglio circa 80.000 morirono e 85.000 risultarono dispersi o prigionieri dei russi, ma ad anni di distanza queste cifre spaventose continuano a essere incerte.
    I tabulati inviati dal governo russo solo nel 1992 indicano in 64.500 i prigionieri di guerra di cui i rimpatriati furono circa 21.800, e gli ultimi rientrarono in Italia il 12 febbraio 1954!
    Solo Palmiro Togliatti aveva visto giusto.
    Da esule antifascista comunista era alloggiato a Mosca dal 1934 con altri dirigenti del PCI , prima alla Lubjanka e poi all’Hotel Lux invia Gor’kij10, da cui trasmetteva da “radio Mosca” i suoi “Discorsi agli Italiani” con i quali ammoniva Mussolini, citando Napoleone, a non intervenire nella campagna di Russia.
    Era dal 1936 Segretario generale del Komintern (l’Internazionale comunista) inviato in Spagna da Stalin con l’incarico preciso di distruggere gli anarchici di sinistra del FAI (federazione Anarchica Iberica), i sindacalisti della CNT (Confederazione Nazionale del Lavoro) e i trotskisti del POUM, non allineati al socialismo reale sovietico e insofferenti ai Commissari politici di cui all’epoca Luigi Longo era il responsabile per la Spagna e istituiva Tribunali Speciali sul copione di quelli delle “purghe staliniane” per processare, condannare e fucilare i compagni riottosi alle regole sovietiche, ma anche i tribunali fascisti si chiamavano allo stesso modo.
    Il Generalissimo Francisco Franco ringrazia ancora per l’intervento dei “compagni comunisti” che tanto hanno contribuito a battere la Repubblica!
    Qualche anno dopo anche Trotski finì picconato in testa in Messico da un amico di Stalin, lui che era stato l’artefice dell’Armata Rossa…
    Dal 1941, sempre come responsabile del Komintern, assunse la Direzione politica per i prigionieri di guerra con Vincenzo Bianco responsabile dell’attività a favore degli italiani, il quale viaggiava per i vari campi di concentramento sovietici con l’incarico di visionare le condizioni di vita dei detenuti.
    A una lettera che Bianco inviò a Togliatti il 31 gennaio del 1943, dove si descrivevano le spaventose condizioni di vita fatte di fame, lavori forzati, violenze,soprusi e angherie di ogni sorte, in special modo, ma non solo, per chi non accettava le scuole di rieducazione antifascista, Togliatti il 15 febbraio e il 3 marzo dello stesso anno rispose che:”-…non sono d’accordo con te…Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia si concludono con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore e il più efficace degli antidoti.(***) Dobbiamo ottenere che la distruzione dell’Armata italiana in Russia abbia la stessa funzione oggi. Nessuno vi ha chiesto di venire qui: dunque non avete niente da lamentarvi”.
    Così come durante la guerra d’Albania Mussolini ebbe a commentare al caldo di Palazzo Venezia:”Questa neve e questo freddo vanno benissimo: così muoiono le mezze cartucce e si migliora questa mediocre razza italiana.””.
    Togliatti o Mussolini, chi migliore dei due!?!

    Ma mio zio Lorenzo non era andato in Russia di sua spontanea volontà, era stato costretto ad andarci e non è più tornato, attraversando paesi e città dell’Ucraina e, forse morendoci o vivendoci da prigioniero, nomi che oggi sentiamo nuovamente e che non avremmo mai dovuto dimenticare…
    Come quello di Nikolajevka,ultima battaglia di sfondamento guidata dai resti dei battaglioni Tirano e Vestone della “Tridentina” per uscire dalla sacca in cui i soldati sovietici ci avevano chiuso da settimane e la cui data il 26 gennaio (1943) è diventata, con poca lungimiranza, la giornata di festa del Corpo degli Alpini, ma lì, noi ci siamo andati in tanti come aggressori e ci siamo salvati in pochi solo scappando!

    N.B.: bibliografia utile:
    -tutti i grandi classici autobiografici nella letteratura italiana da Giulio Bedeschi, Mario Rigoni Stern, Nuto Revelli e decine di altri minori;
    -per la Saggistica: “I prigionieri italiani in Russia” di M. Teresa Giusti e “Io, prigioniero in Russia” di Vincenzo De Michele.
    -per la guerra di Spagna mi sono state terribilmente fulminanti le pagine di corrispondenza di guerra di “Omaggio alla Catalogna” di George Orwell (sena dimenticare “1984”) e “Dialogo con la morte “ resoconto autobiografico del giornalista scrittore inglese Arthur Koestrerl imprigionato nelle carceri franchiste in attesa di fucilazione.

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