Liberarsi di oggetti imperfetti, difettosi, inutili. Una singolare storia che affonda le sue radici a Ferrara.
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⇒ di Umberto Scopa ≈ Piccolo Inventario Sentimentale Degli Oggetti
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Spesso ci liberiamo volentieri di oggetti imperfetti, difettosi, come di un peso inutile. La storia che racconto oggi dimostra per contro come utensili di scarto, in un caso del tutto particolare, siano stati rivestiti imprevedibilmente di un valore significativo proprio in ragione del difetto che avevano impresso addosso. Ma per capirlo occorre ripercorrere dall’inizio questa singolare storia che affonda le sue radici nel passato della mia città.
A cavallo tra fine ottocento e inizio novecento visse a Ferrara un mio concittadino, Giuseppe Pasetti, del quale voglio raccontare qualcosa. Pasetti possiamo inquadrarlo come uno di quei personaggi che seppur in modo non appariscente dedica la sua vita al servizio della sua terra, con preziosi risultati, ma senza essere ricambiato dalla sua gente con pari generosità, neanche nell’essere ricordato degnamente. Probabilmente suscitava perplessità la sua riservatezza e dedizione ossessiva alla ricerca di antichi reperti archeologici di ceramica locale disseminati nelle campagne. Non aveva mire di arricchimento personale, anche perché i reperti ceramici erano ritenuti generalmente di poco valore, essendo facilmente reperibili in gran quantità e costituiti da materia poco preziosa. Eppure lui perseverava nel perlustrare le campagne, talora sotto gli occhi di chi si chiedeva se quel tipo strano aveva perduto qualcosa o era solo strano. Certe passioni però sono più forti della diffidenza della gente e lui perseverò nel raccogliere, classificare, conservare. Accumulò in casa una collezione immensa, di quelle che nessuna moglie al mondo può vedere con troppa benevolenza, quando si espande fino ad invadere ogni spazio. Giunse anche ad avere al suo servizio una squadra di aiutanti. Un giorno all’improvviso, dopo tanti anni di ricerche alle spalle, rivolse ai suoi aiutanti una richiesta insolita. Dovevano trovare assolutamente reperti ceramici che rivelassero difetti di fabbricazione. Mi immagino che questi si siano guardati negli occhi stralunati: di reperti ce n’erano tanti e già quelli integri valevano poco e niente, figurarsi quelli malriusciti! che di questi pure ne avevano trovati, ma li avevano scartati offrendo al loro committente solo quelli più integri e presentabili, pensando di fargli un favore. E ora invece quello se ne usciva dicendo che voleva solo i pezzi difettosi; cosa gli era mai venuto in mente?
Pasetti si era persuaso che tutta questa massa di reperti dimostrasse l’esistenza di una antica fiorente fabbrica di ceramica ferrarese della quale però le fonti non davano notizia. Gli storici locali più accreditati liquidavano in modo lapidario questa tesi, ed era difficile contraddire la loro autorità. Gli dicevano che la ceramica del tempo veniva tutta dalle fabbriche faentine che allora come oggi vantavano un primato di fama nella la produzione di utensili ceramici. Dunque -dicevano i suoi detrattori -quello che lui trovava nella nostra terra in gran quantità non era stato fabbricato qui, ma importato dalle fabbriche faentine o anche da quelle amalfitane, pure queste rinomate. Pasetti non si arrese e cominciò ad arrovellarsi su come convincere detrattori così ostici. Fu così che ebbe un’intuizione ingegnosa. Pensando tra sé e sé provò a immedesimarsi in un commerciante ferrarese che in epoca antica volesse importare delle ceramiche da Faenza. Pensò che il primo accorgimento di un acquirente sarebbe quello di verificare che la merce non fosse difettosa, o quanto meno di respingerla al mittente qualora ne avesse ricevuta. Del resto i fabbricanti -edotti di queste scontate cautele degli acquirenti- avrebbero preso l’abitudine di liberarsi dei pezzi malriusciti eliminandoli. E magari eliminandoli in loco col minor costo possibile, che già era stato un costo l’errore. Dunque anche una fabbrica ferrarese, quella immaginata da Pasetti, avrebbe adottato lo stesso comportamento. Pasetti era arrivato al punto nodale della questione. Se i suoi avversari non si convincevano dell’esistenza di una fabbrica locale di fronte all’ingente quantità di reperti che lui aveva dissotterrato, dovevano convincersene per forza se lui avesse messo sotto i loro occhi un quantitativo significativo di scarti di produzione. Se lo avesse fatto avrebbe voluto vedere come potevano i baroni del “so tutto io” dimostrare che a Ferrara fosse abitudine comprare materiale difettoso di importazione per liberarsene in loco senza restituirlo al mittente. E allora sarebbe toccato ai suoi oppositori arrampicarsi sugli specchi per non accogliere la sua tesi. E così impresse questa nuova direzione alla ricerca. Non fu semplice, ma i lavoranti gli consegnarono infine un buon numero di questi scarti di produzione che in passato avevano scartato pure loro, ma senza farne parola. Oggi l’esistenza di una antica fiorente industria ceramica ferrarese è comprovata anche da successive prove, ma tanto si deve a questo ostinato ricercatore e alla sua tenacia nello scalare la montagna di incredulità e diffidenza che gli sbarrava la strada. Aggiungo poi che raramente si considera come siano soprattutto i rifiuti di una civiltà a raccontare in modo significativo cos’è stata quella civiltà. Non posso evitare di ricordare le pagine memorabili che dedica Victor Hugo nel romanzo “I Miserabili” alle fogne di Parigi. L’autore descrive con minuzia di particolari gli oggetti ritrovati nelle fogne per offrire una testimonianza documentaristica preziosissima della vita parigina dell’epoca. Queste le sue parole: “la mente crede di scorgere, vagolante attraverso l’ombra, in quella sozzura che è stato splendore, quell’enorme talpa cieca che è il passato”.
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⇒ Foto: Umberto Scopa ≈ Prossimo Appuntamento: venerdì 7 maggio
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