di Andrea Sbaffi Andrea Sbaffi
The Cure, Live in Bologna (7 dicembre 1985)
Dopo oltre un’ora di concerto, l’orecchio si è ormai adattato ed assuefatto al muro di suono sparato dai finali del potente impianto del Teatro Tenda di Bologna.
A 16 anni è il primo concerto indoor e, in effetti, non ti aspettavi un simile volume, coi bassi che ti entrano dentro, trasmessi dalle vibrazioni che salgono dal pavimento, su per le gambe fino al petto.
The Cure si stanno avvicinando alla fine del Main Set e stanno suonando A Forest, uno dei brani più iconici e più amati: quante volte l’hai sentita, prima di quel concerto….
Il tempo è un 4/4 semplice: charleston in ottavi, cassa e rullante alternati sui quarti, la cassa sul 1° e sul 3°, il rullante sul 2° e sul 4°. Quasi un mantra, che il batterista Boris Williams porta con naturalezza e grande mestiere, nonostante la giovane età: una base cadenzata e costante, coadiuvata dal basso in ottavi, sulla quale lavorano incessantemente chitarre, tastiera e voce, ipnotica come solo Robert Smith allora pensi sappia fare.
Potresti suonarlo ad occhi chiusi e, quindi, ti chiedi se potresti, un giorno… chissà…, essere anche tu su un palco del genere.
Il silenzio che segue il black-out dell’impianto è assordante! Ci vuole una frazione di secondo per renderti conto che sei al buio, le tue orecchie faticano ad abituarsi alla nuova situazione e non è chiaro cosa sia successo, finché non senti in lontananza il suono di una batteria acustica, suono che via via si avvicina ed emerge dal silenzio, un suono familiare di cassa e rullante alternati sui quarti, con charleston cristallino sugli ottavi. Che bel suono acustico!
Dopo qualche battuta, anche Boris capisce che è successo qualcosa e si ferma, un po’ disorientato…: probabilmente anche a loro non è mai capitata una situazione del genere. Pensi che, per essere il primo concerto in uno spazio chiuso, non c’è male… Ti chiedi se sarà sempre così, o se stai assistendo ad un evento unico e, ti auguri, irripetibile. Poi, il concerto riprende e, con ben tre uscite per i bis, si conclude senza ulteriori problemi: nonostante l’imprevisto, davvero un gran concerto!
L’avevi aspettato e preparato con grande emozione: oltre a Marco, il compagno di sempre in quegli anni, anche Lele, il fratello putativo dell’infanzia, era arrivato da Napoli, proprio per il concerto. Entrambi amici e confidenti, figure fondamentali di sponda in quegli anni di formazione, musicale e non solo, di esperienze condivise, notti insonni di chiacchiere, affetto, progettualità…
Eravamo arrivati presto davanti ai cancelli del Teatro Tenda, inaugurando il rituale che avrebbe accompagnato tanti concerti negli anni successivi: attesa, qualche birra e sigaretta, chiacchiere, aspettative, confidenze, fratellanza…
L’apertura dei cancelli e, per la prima volta, la corsa per accaparrarsi i posti migliori, più vicini alle transenne davanti al palco. Una volta conquistata la posizione, ancora attesa, altre chiacchiere e un’ansia crescente per la voglia di vivere insieme quell’esperienza unica, irripetibile proprio perché congelata in quel tempo e in quello spazio, con gli amici più veri.
I Cure erano una delle band di cui condividevamo con entusiasmo il percorso: i primi cinque album dall’esordio nel 1979 al 1984, erano stati un’escalation di introspezione, atmosfere cupe e gotiche, come definivano in Inghilterra più correttamente del nostro italico grossolano epiteto dark...
Ma il 1985 fu l’anno della svolta, con la pubblicazione di The Head on The Door, il primo album solare del gruppo, caratterizzato da sonorità aperte, chitarre acustiche e tastiere, anche qualche fiato: una decisa inversione di tendenza, che lasciò spiazzati tutti gli intimisti estimatori della prima ora.
Anche noi faticammo un po’ ad “entrare” nelle atmosfere del nuovo disco…. Ma forse, per fortuna, erano maturi anche per noi i tempi dell’apertura, dell’uscire dall’intimo per proiettarci verso il mondo, cosa che, in definitiva, ci suggerivano Smith & Co.
The Head On The Door è stato davvero l’album del cambio di passo: era giunto il tempo, per tutte/i noi, di lasciare le nostre camerette, i nostri tormenti adolescenziali e proiettarci nella realtà, metterci in gioco e iniziare a rischiare, confrontarci con le relazioni e smetterla di introiettare in una dimensione intimista e nichilista il nostro stare nel mondo.
The Head On The Door ci ha fatto molto bene! Certo, non è stato solo questo: un ruolo fondamentale lo hanno giocato tutte le letture di quegli anni, il confronto, i compagni e le compagne di strada, la progettualità condivisa. Ma, da quel momento, avevamo scoperto una nuova leggerezza, impensabile fino a pochi mesi prima. Sapevamo che non era più peccato partire dalle nostre debolezze ed esporci al confronto con rinnovata leggerezza, consapevoli che la nostra identità può trovare un senso solo nel confronto con le altre e gli altri, aprendo anche con indulgenza il cuore alla spensieratezza che ci è dovuta a sedici anni. Sono sempre stato un sostenitore del potere taumaturgico della musica!
Tutte/i noi scegliamo, di volta in volta, un disco, un brano, una colonna sonora che sia in grado di accompagnarci e raccontarci: ecco, in quel momento, le tracce di quell’album sono state capaci di rompere la corazza dell’uomo in fieri che mi apprestavo ad essere. In Between Days, Push, Close to Me, A Night Like This hanno, più di altre colonne sonore, saputo spingermi al confronto e all’apertura e non sarò mai abbastanza grato a Robert Smith per averle volute condividere con tutte/i noi.
Vi risparmio la biografia del gruppo, ampiamente reperibile in rete…, segnalandovi solo un link a una fanpage tedesca che raccoglie TUTTI i live del gruppo e dove potete trovare la scaletta e la traccia dello sfortunato episodio del black-out.
Anche stavolta, mi piace mettere in evidenza una sorta di chiusura del cerchio, anticipando che il 2 novembre 2016 ho avuto la fortuna di assistere ad un altro concerto dei Cure al Forum di Assago, in compagnia di mio figlio Samuele: tanta altra acqua era passata sotto ai ponti del gruppo, con i vari album che ne hanno consacrato la dimensione internazionale e l’ingresso nella Rock’n’Roll Hall Of Fame nel 2019. Magari vi racconterò di quest’altro concerto in un prossimo contributo fra un paio d’anni….
Di quel concerto dell’85, resta un bellissimo ricordo, condiviso con persone importanti, e la sensazione che quella fase della vita sia stato forse il primo momento in cui siamo stati capaci di metterci davvero in gioco, certo con tutte le nostre debolezze, a cui faceva però da contraltare l’esaltazione per la crescente consapevolezza dei propri punti di forza e della potenza dirompente della condivisione, dell’empatia, del percorso comune.
Appuntamento fra quattro settimane, con il concerto di Sting & Gil Evans Orchestra, Live Umbria Jazz, Perugia (11 luglio 1987)
Io C’Ero ritorna venerdì 25 febbraio
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