di Andrea Musso
L’articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2023
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Bartolomeo Cristofori da Padova e il pianoforte
Il nome di Bartolomeo Cristofori è noto soprattutto per la sua professione di costruttore di clavicembali ed organi durante la serenissima repubblica di Venezia. Svolge anche una intensa attività come liutaio. Si tratta di un vero e proprio artigiano di cui esistono pochissime immagini e limitate sono anche le informazioni relative alla sua infanzia padovana, città in cui nacque il 4 maggio 1655. La sua fama è strettamente legata alla paternità del pianoforte e la storia, a fronte di innumerevoli illegittimi pretendenti gli attribuisce questo incontestato riconoscimento.
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Ripercorrendo il suo cursus honorum si può asserire che il lavoro di cembalaro gli procurò una singolare notorietà al punto tale da ricevere la chiamata a servizio dal Principe Ferdinando de’ Medici, figlio di Cosimo III granduca di Toscana, grande appassionato di strumenti musicali e competente clavicembalista. Presumibilmente l’incontro avvenne in occasione di uno degli innumerevoli viaggi nel territorio della Repubblica di Venezia intrapresi intorno al 1688. L’artigiano, a seguito del trasferimento nella città medicea indotto anche da un lauto compenso, imprime una svolta decisiva alla propria carriera. Una cospicua documentazione medicea conferma il suo ruolo a tempo pieno di costruttore e trasportatore di strumenti. Si occupa dunque di spinette, clavicembali, ma anche organi e strumenti ad arco. Per quanto riguarda gli strumenti a tastiera, dal punto di vista della tecnica esecutiva, alla fine del XVII secolo si era già definita una notevole svolta pur non avendo ancora raggiunto i culmini di Bach padre e di Domenico Scarlatti. Il circolo di intellettuali che gravitava intorno al Gran Principe Ferdinando avvertiva i limiti della tastiera del clavicembalo tradizionale ed anelava alla progettazione di una macchina che potesse garantire il controllo costante del suono. Si trattava di un’utopia che mise in moto la ricerca del Cristofori.
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Da tali richieste piuttosto ambiziose l’artigiano padovano fu indotto ad ipotizzare uno strumento a tastiera, non ad aria (come l’organo), neppure a corde pizzicate (come il clavicembalo) o soffregate (come il clavicordo), ma a percussione. Resta curioso il fatto che esistesse già uno strumento a percussione in cui l’effetto era determinato dall’impiego di due mazzuoli maneggiati dall’esecutore. Veniva denominato Hackbrett, ma era noto anche come Dulcimer o Tympanon. Intorno al 1667 si affermò nella pratica di questo strumento un musicista tedesco di nome Pantaleon Habenstrett. La notorietà dell’artista determinò anche la diffusione dello strumento con l’appellativo di Pantaleon o Pantalon in Francia e l’abile strumentista sarebbe poi stato denominato pantaleonista nell’orchestra di corte di Dresda nel 1714. Non abbiamo la certezza che Cristofori fosse a conoscenza di tutto ciò, tuttavia la sua invenzione consiste nella applicazione della tastiera al Pantaleon. Il nostro costruttore mantenne intatta la struttura del clavicembalo sostituendo i saltarelli con dei mazzuoli in legno ricoperti di pelle che chiamò martelletti ed il nuovo strumento venne denominato “Gravecembalo (o arpicembalo) con forte e piano. Si tratta di una terminologia correttissima, in quanto l’esecutore aveva la facoltà di influire sull’intensità, sul piano e sul forte, effetto impraticabile sul clavicembalo e fattibile con molti rischi sul clavicordo. L’obiettivo fu centrato considerando il principio che una corda percossa da un mazzuolo suona più piano o più forte a seconda della minore o maggiore ampiezza della sua oscillazione e quindi della velocità raggiunta dal mazzuolo al momento del contatto.
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Fu poi completata la meccanica provvedendo alla cessazione del suono facendo tornare il martelletto in posizione di riposo. Il “gravicembalo con forte e piano” fu descritto da Scipione Mattei nel 1711 nel “Giornale de’ letterati d’Italia”. Viene riportato anche il grafico che illustra la meccanica realizzato probabilmente dallo stesso Cristofori. Il suo strumento stava segnando una svolta epocale, ma non era ancora conforme alle aspettative dei suoi nobili interlocutori fiorentini. La criticità consisteva, nonostante l’effetto dinamico, nella difficoltà nel mantenere costante il suono dopo la percussione e l’impossibilità di prolungarlo. Scipione Mattei ne elogia le virtù rispetto agli strumenti precedenti, tuttavia i compositori non dimostrano un particolare interesse considerando ancora ampiamente idonei gli strumenti a tastiera tradizionali. Non è attestato che Haendel, alla corte di Firenze tra il 1706 ed il 1707, si appassionasse al nuovo strumento. Francois Couperin, nell’Art de toucher le clavecin (1716-1717), suggeriva due tipi di speciali abbellimenti, aspirazione e sospensione, per vincere i limiti del clavicembalo, ma non cita l’inventore parigino Jean Marius che nel 1716 aveva disegnato quattro modelli di clavicembalo a martelli. Lo stesso Bach non si occupò del futuro pianoforte sebbene un costruttore sassone, Christoph Gottlieb Schroter, nel 1721 avesse presentato all’elettore di Sassonia un clavicembalo a martelli e sebbene l’organaro Gottfried Silbermann avesse ricostruito il pianoforte di Cristofori basandosi sull’articolo di Mattei pubblicato nel 1725 in traduzione tedesca nella “Critica musica” del Mattheson, Bach espresse un parere negativo. Saltuario fu l’uso del pianoforte da parte di Domenico Scarlatti, Benedetto Marcello e Giovanni Platti. L’unico compositore che dimostrò interesse verso lo strumento di Cristofori fu Lodovico Giustini pistoiese, coetaneo di Bach e Scarlatti.
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Nel 1732, l’anno della morte di Cristofori, pubblicò a Firenze 12 sonate da Cimbalo di piano e forte, detto volgarmente di martelletti Op.1, ristampate ad Amsterdam nel 1736. Il 27 gennaio era morto Bartolomeo Cristofori, non più semplice cembalaro, ma “custode” della grande collezione di strumenti che il suo padrone, scomparso prematuramente nel 1713, aveva raccolto. Dall’inizio del secolo si era molto impegnato per migliorare la meccanica e vi era riuscito, ma aveva costruito pochi gravecembali con piano e forte, tre dei quali, del 1720, 1722,1726, si sono conservati sino ad oggi. Il suo allievo importante si affermò nella costruzione del nuovo strumento. Il suo pianoforte entrò in possesso della regina Maria Barbara di Spagna e fu noto ad Alessandro Scarlatti che era il maestro. In terra di Toscana si fecero altri esperimenti ed un sacerdote di Gagliano del Mugello, Domenico del Mela, costruì nel 1739 un pianoforte con la cordiera verticale anziché orizzontale. La loro opera non oltrepassò l’interesse della ricerca un po’ intellettualistica ed il pianoforte non andò a costituire in Italia un circuito industriale. Per un arco di tempo piuttosto ampio il pianoforte si dissociò dalla cultura italiana per farvi ritorno sul finire del secolo come un prodotto della tradizione britannica e germanica. Esito maggiore ebbe invece lo sforzo di Gottried Silbermann che aveva cercato di migliorare il clavicordo inventando il Cembal d’amore (clavicordo doppio), lavorò alacremente al miglioramento di quel modello di pianoforte che non aveva convinto Bach ed ebbe la fortuna di trovare nel re-flautista Federico il Grande un ammiratore dei suoi strumenti, disposto ad acquistargli ogni nuovo modello. Quindi Bach a Potsdam dovette suonare un pianoforte e su questo strumento improvvisò il Ricercare a tre che più tardi inserì nell’ Offerta musicale senza destinarlo al pianoforte. La letteratura pianistica non può fregiarsi del nome di Bach che non volle riconoscere il pianoforte. Lo stesso discorso vale anche per gli altri compositori barocchi, con l’unica eccezione di Lodovico Giustini che si è ritagliato un indiscutibile posto nella storia.
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Foto di copertina: alamy.es
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Bellissimo racconto!! Grazie!
Ottima e meticolosa descrizione!
Grazie per il generoso apprezzamento!
Mi associo ai commenti precedenti, un bellissimo racconto sulla nascita del pianoforte.
Articolo divulgativo ma sapientemente approfondito. Complimenti all’autore!