di Angela Melis
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Un film che racconta di un’amicizia speciale nata grazie alla poesia
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Il mondo è pieno di poesia, scriveva il poeta americano James Gates Percival. Ed effettivamente, se solo ci predisponessimo a riconoscerla e ad accoglierla, la si potrebbe trovare anche nei posti e nelle situazioni più disparate.
E’ questo che insegna La vita in comune, del regista salentino Edoardo Winspeare, un film dal carattere fiabesco carico di speranze e buoni sentimenti, presentato nel corso della 74esima edizione del festival del cinema di Venezia (2017).
Il film è ambientato a Disperata (che fa il verso a Depressa, piccola località del Salento dove è cresciuto il regista), un paese della Puglia, immaginario, ma che rappresenta la realtà di tanti piccoli paesi del sud Italia, dove la vita segue dei ritmi inesorabilmente lenti.
In questo scenario di case fatiscenti, piazze deserte e anime sperdute, il sindaco, Filippo Pisanelli, sente di non essere all’altezza di quell’incarico e, incapace di far sentire la propria voce durante le riunioni in consiglio comunale, viene continuamente criticato sia dall’opposizione, che dai suoi assessori. È un uomo disincantato e disilluso che sembra aver perso ogni entusiasmo, se non fosse per il ruolo di docente di letteratura presso il carcere: è solo qui, a contatto con gli ultimi, che ritrova sé stesso.
Durante uno degli incontri con i carcerati conosce Pati, delinquente di bassa lega che si trova in carcere per una rapina non portata a segno, durante la quale è rimasto vittima un cane che tormenterà la sua coscienza. Infondo Pati è un uomo buono e sente il peso della sua colpa. Affascinato dalle lezioni di Filippo, sente nascere in sé l’amore per la poesia tanto da cimentarsi a sua volta nella scrittura di versi, che lo aiuteranno a redimersi.
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Ad attenderlo fuori dal carcere c’è suo fratello Angiolino, il quale sogna di diventare il boss di Capo di Leuca e fare un colpo grosso, nel tentativo di cambiare vita coinvolgendo suo fratello; ma Pati è cambiato, desidera una vita onesta, continuare a scrivere poesie ed essere un buon esempio per suo figlio. Angelino però non riesce ad accettare quel cambiamento, fino a quando un evento non cambierà il suo destino.
A saldare il legame tra Filippo, Pati e Angiolino non c’è soltanto la poesia, ma anche un viscerale amore per il territorio e un profondo senso di appartenenza a quel luogo che, seppur sembri dimenticato da Dio, ha paesaggi di incantevole bellezza. Osservando il mondo con occhi nuovi, Pati e Angiolino si sentono quasi in dovere di proteggere quella natura da una cementificazione selvaggia e, con un’innocenza fanciullesca, avanzeranno la loro proposta per valorizzare e salvaguardare il territorio. Inconsciamente sanno che la poesia offerta dalla natura e dal paesaggio può preservare l’uomo dai mali che affliggono l’anima e aiutarlo a ritrovare un rapporto più autentico con sé stesso.
A tracciare quei lievi cambiamenti che avvengono nel corso del tempo sono gli animali, che assumono un significato simbolico.
Il film inizia col primo piano su una lumaca che striscia sul terreno. Da sempre considerata simbolo di lentezza, la lumaca rappresenta anche saggezza e riflessione; la foca monaca, segno di rigenerazione e dei tempi che sono cambiati, e che non a caso non veniva avvistata da molto tempo.
Con un bel tuffo in quelle acque brillanti, completamente nudo, Filippo assapora un nuovo senso di libertà, come se quell’acqua benedisse la nuova condizione non solo per i tre amici, ma per l’intera comunità di Disperata. Il film è disponibile su Rai Play
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Foto tratta da pexels.com
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I Lentometraggi ritorna martedì 25 ottobre
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