Una macchia, la mimosa, i bambini nel cortile, il letargo: aspetti contrastanti delle giornate sospese.
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⇒ di Giuseppe Rissone ≈ Piccole Storie Quotidiane
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Una macchia, precisamente un escremento sul terrazzo, non ricordo esattamente da quanti giorni un volatile ha deciso di lasciare una traccia del suo passaggio, più volte mi son detto prendo uno straccio e lavo il pavimento, e poi sono passati i giorni. Una sera osservandola ho pensato che siamo come quella macchia, fermi, statici, sospesi e brutti a vedersi. Nelle mie recintate passeggiate, osservo le persone muoversi, coperti dalla mascherina e in rari casi da una lastra di plastica, i loro volti non traspaiono preoccupazione, tristezza, sembra che vivano tutto in una ordinaria normalità. Le vite spezzate ci vengono annunciate ogni sera, e poi nella vita quotidiana tutto questo sembra non esistere, qualcuno dirà che è un bene, che riusciamo a tenere il più lontano possibile dalla nostra mente la scia mortale.
La risposta non mi convince, qualcosa non mi torna, ho la sensazione che sottotraccia emerga una volontà menefreghista, di una società che da tempo mette al primo posto l’esserci, anziché l’essere; quindi anche davanti a una tragedia globale, non ci si ferma, non si mettono in evidenza necessità sacrosante, ma si alza il tono per il diritto all’aperitivo, alla giornata sugli sci, allo shopping, dimenticandosi che di attività sospese ce ne sono di ben più importanti, vogliamo parlare della scuola, del cinema, del teatro, della musica…
Pensiamo allo sport, ed in particolare al calcio, se tutto questo fosse accaduto prima dell’avvento delle Pay Tv, che coprono ogni istante dei nostri campionati – e non solo – assisteremmo a proteste di piazza, invece tutti buoni e silenti davanti allo schermo, dimenticandosi, che il calcio e lo sport in generale, è passione, gioia, rabbia. Per converso si deve assistere ad assembramenti che produrranno un aumento del numero dei contagi, non sarebbe più saggio far entrare un numero limitato all’interno dello stadio, piuttosto che avere fuori delle folle incontrollate?
Le giornate si sono allungate, la primavera è alle porte, sinonimo di attività all’aria aperta, di passeggiate,
In contrapposizione alla macchia, affine all’abbandono, due alberi di mimosa quasi completamenti fioriti, rallegrano sia lo spirito che l’anima, e non è necessario cercarli in qualche località della Riviera Ligure, bensì nella fredda – meteorologica e anche caratterialmente – Torino. Sono situati poco lontano dalla mia abitazione, ho modo di ammirarli ogni sabato mentre mi reco a fare la spesa, a distanza di ogni settimana, aumentano il loro volume, il loro profumo. Invece di chiederne un mazzetto, preferiscono strapparla per poi gettarla a terra… così mi risponde un signore che sta ancorando gli alberi carichi di fiori, non voglio dire che questo è un segno dei tempi, di una società malata, dove il rispetto per la natura non fa più parte del nostro DNA… invece sì, anche il gesto di strappare un rametto di mimosa per poi gettarlo fa parte di una direzione sbagliata, se non si ha rispetto per un albero, figuriamoci per i nostri simili.
Da alcuni giorni le temperature sono primaverili, in alcuni casi anche al di sopra della media, è recandomi sul terrazzo ho avuto modo di vedere un qualcosa che non vedevo da tempo e che mi ha riempito di gioia, cortili con bambini e bambine giocare con le loro biciclette, bambole e palloni, voglio interpretarlo come un segno in controtendenza, alla faccia di stupidi regolamenti condominiali. Quando ci si potrà assembrare nei parchi senza timori, lasciate i cortili aperti, per carità con delle regole, diamo l’opportunità ai bambini d’incontrarsi, di confrontarsi, e perché no di scontrarsi, sottraiamo un po’ del tempo dedicato al virtuale – da quando è iniziata la pandemia da covid-19 l’aumento è di mezz’ora in più al giorno di attività al PC o al cellulare, arrivando al 25% del tempo giornaliero in cui siamo svegli – chissà che questo possa formare una futura generazione maggiormente consapevole del far parte di qualcosa di collettivo, e non lascerei questo al buon senso di condomini e amministratori, ma creerei un sistema educativo e sociale a livello nazionale, che si occupi seriamente dei più piccoli, un ministero a difesa dei bambini, che Stato è quello che non si occupa della parte più fragile, che Stato è che ha messo all’ultimo posto la scuola, che Stato è quello che insulta per bocca di una ex ministra una studentessa che vuole altre risposte oltre alla didattica a distanza, che Stato è quello che cultura non fa rima con società presente e futura. Lo Stato è quello italiano, inutile nasconderlo.
Ritorniamo alla macchia, mi sono poi deciso a prendere uno straccio per eliminarla, lei adesso non esiste più, quella però che mi porto dentro no; non è solo paura di ammalarmi, di cui non nego l’esistenza, un’altra paura riguarda su come stiamo gestendo e reagendo a questo tempo sospeso, ci siamo dimenticati in fretta gli operatori sanitari, ci siamo dimenticati i cartelloni retorici con scritto andrà tutto bene, ci siamo dimenticati in fretta di cantare dai balconi, usiamo e gettiamo tutto molto in fretta, gettiamo le mascherine – come ben segnalava nella notizia della settimana scorsa Umberto Scopa – e gettiamo alle ortiche il sentire le sofferenze altrui.
I bambini nei cortili, i profumi della mimosa, mi aiutano a non dare importanza alla macchia che mi cresce dentro, basteranno? Voglio essere positivo e dire di sì, e che il vaccino ci aiuti non solo a difenderci dai virus ma anche dalla deriva egoista e menefreghista di tutti noi. E se questo tutto non bastasse possiamo andare in letargo, secondo una nuova ricerca, gli ominidi che mezzo milione di anni fa vivevano nel nord della Spagna andavano in letargo, nelle grotte, per sopravvivere ai rigidi inverni, potrebbe essere un’idea?
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⇒ Foto: Giuseppe Rissone ≈ Prossimo Appuntamento: Lunedì 29 marzo
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