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Diamo un senso alle parole che spesso usiamo in modo errato
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Da diverso tempo sento una forte esigenza, quella di esprimere il mio pensiero su due parole. Ebbene sì questo appuntamento di piccole storie quotidiane si concentra principalmente sulle parole. Le parole sono importanti, Giorgio Gaber nel 1984 nel monologo Il Senso recitava così: Ordine ci vuole, ordine. A cominciare dalle parole, bisogna ridargli un senso, specialmente a quelle parole, soggette a cambiare nel tempo eh. Perché, se uno dice, fascismo, non è che si sa tanto bene cosa vuol dire, però l’altro capisce che non è una gran cosa. Perfetto, si sono accordati sul senso. Ma se uno mi dice, democrazia, io gli do lo stop. Stop! Adesso tu mi dici se per te è una cosa buona o una schifezza. Allora lui mi spiega con altre parole, e io: Stop! Stop! Stop! Mi evitano, solo perché voglio che ci si accordi su un senso.
Parafrasando Gaber, se sento dire inclusione – che nel sentire comune è una buona cosa – io dico stop, stop… cosa s’intende? Se sento dire tolleranza – anch’essa sembra una cosa bella – anche in questo caso dico stop stop… e non ditemi che sono termini positivi per favore.
Inclusione e tolleranza, sono parole che indicano un atteggiamento negativo, vado a spiegarmi prendendo separatamente le due parole.
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Inclusione: parola usata con l’idea del ti faccio entrare, ti accolgo, contrario di esclusione, ma in realtà il significato vero è chiudere, ti faccio entrare nel mio recinto, e ringrazia ancora… Includere all’atto pratico presenta un problema di equilibri di potere tra chi include, che può porre, e generalmente pone, delle condizioni per l’ingresso nel gruppo di maggioranza, e chi viene incluso riceve il permesso di far parte del gruppo in cui è accolto. In questo senso, che è poi ciò che avviene nella pratica quotidiana, l’inclusione rischia di essere un processo discriminatorio in quanto prevede che il gruppo culturalmente dominante abbia un potere maggiore – qui mi viene in mente l’ambito ecumenico in campo cristiano, un discorso da riprendere in altre occasioni… – rispetto alle minoranze, e questa differenza di potere si traduce in uno squilibrio della dignità e del valore anche morale attribuiti a ciascun gruppo. Preferisco l’idea del “vivere nelle differenze“, in quanto non suggerisce una superiorità di un gruppo sull’altro, non presuppone un’esclusione a cui porre successivamente rimedio con la cosiddetta inclusione, e mette tutte le parti sullo stesso piano, rendendole ugualmente degne di esprimersi e attivamente responsabili della comprensione e della gestione delle libertà proprie e altrui e dei loro limiti.
Tolleranza: termine che personalmente mi trasmette l’idea del ti sopporto anche se hai idee, credo, appartenenze diverse dalle mie… Nel film del 2005 Il vento fa il suo giro, di Giorgio Diritti il protagonista Philippe sostiene: A me la parola tolleranza non piace. Se tu devi tollerare qualcuno non c’è il senso di eguaglianza. Se ci pensate bene il termine ha un’accezione negativa, si riflette nei nostri comportamenti, nelle nostre idee, entra nelle nostre menti e lavora nel tempo assieme ai pregiudizi. La tolleranza è una delle basi sui cui si basa il pregiudizio, proprio perché si pone come una barriera che mettiamo tra noi e gli altri. Una barriera molto bassa e basta poco per far scattare le nostre difese e trasformarla in intolleranza. Preferisco “uguaglianza” oppure “accoglienza” in quanto i membri di una collettività sono considerati allo stesso modo relativamente a determinati diritti, doveri o valori.
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Ho sperimentato sulla mia pelle il senso delle parole, il senso delle azioni, tutto questo in una recente attività strettamente collegata a bradipodiario, sono stato – siamo stati – non inclusi e tollerati bensì accolti nelle differenze e considerati uguali nel contesto vissuto.
Mi evitano, solo perché voglio che ci si accordi su un senso. Reitero le parole di Gaber, in quanto in diverse occasioni quando sostengo che inclusione e tolleranza non mi piacciono e l’uso che ne viene fatto ne distorce il reale significato – e non sono le uniche parole – mi evitano o mi guardano come se venissi da Marte: se sono tollerante e inclusivo sono buono, sono nel giusto… no e ancora no, stop… stop… Quindi cari lettori non mi evitate anche voi e ditemi la vostra.
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Foto: Giuseppe Rissone
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Piccole Storie Quotidiane ritorna martedì 13 febbraio
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