di Guido Bertolusso pixabay.com
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Sono contento di essere nato stonato e di stare “fuori dal coro”
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Si crede che Adamo capì subito quale fosse la natura della donna, pensava che lei avrebbe cercato di aver la meglio su di lui con lacrime e suppliche oppure confondendolo con lusinghe e blandizie: ”Ecco il mio campanello che non tace mai!” ripeteva tra se e se, anche perché non aveva ancora nessun amico con cui lamentarsi della sua donna.
La sposò comunque e lo sposalizio fu celebrato direttamente da Dio che non aveva per il momento inventato i preti, non si sa se per dimenticanza oppure per preveggenza; e la prima suocera fu proprio lui perché le nozze furono celebrate con uno sfarzo che non è ancora stato superato nel corso dei secoli, nemmeno tra i più grandi signori di tutti i tempi o nelle feste nuziali di chi si crede più religioso mentre non distingue tra sostanza e apparenza, ma non si lanciarono riso e confetti e non si fecero brindisi per non cominciare ad indispettire i futuri Testimoni di Geova che già minacciavano di citofonare di mattina presto nei giorni di riposo.
Egli mise all’opera gli angeli e fece all’allestire dieci stanze foderate di oro perle e pietre preziose, nella più ricca piazzò il baldacchino, elemento fondamentale nella cerimonia della sposalizio, sotto il quale un funzionario addetto al canto e alla recitazione delle preghiere, il direttore del coro insomma, unì in matrimonio Adamo ed Eva, poi gli angeli cantarono e ballarono come non ci fosse un domani: pensavano, gli ingenui, di essersi sbarazzati dell’uomo legandolo e consegnandolo alla donna!
Gli angeli fecero il coro alla festa anche perché erano disposti in “cori angelici”, come riporta sia la tradizione ebraica che la successiva cristiana; ad organizzarli per categorie di ruolo e funzioni fu sempre Paolo di Tarso, al quale non mancava certo la fantasia: li divise in tre gerarchie a loro volta composte da tre ordini o, appunto cori, dalla più importante, quella dei “serafini” più trascendente e vicina al padrone, alla più sfigata, quella degli “angeli” propriamente detti, più vicina all’uomo, come l’angelo custode di catechistica memoria, (praticamente un Parlamento che andava dai “peones” dei vecchi democristiani fino ai Sottosegretari, Ministri e Presidente del Consiglio) e da tutti loro emanava quella che si dice la “musica delle sfere”, eufemismo per coprire la musica delle “(omissis)” che arriva dal nostro Parlamento!
Il popolo napoletano di arguta fede miracolistica è molto scafato nei confronti degli angeli in genere tant’è vero che nella “smorfia” il sognare un coro di angeli (55) è senza ombra di dubbio ottimo avvenire, ma il cantare in coro (56) sono dispiaceri e sofferenze, un coro di monache (62) sono contrasti in amore e un coro di donne (39) è sintomo di gelosia ossessionante!
Come tutti sanno un coro è un gruppo di persone che cantano insieme dalla notte dei tempi, da prima della Grecia antica, già nell’Iliade narrata all’incirca nel 850 a. C. si racconta dei “peana” invocazioni religiose rivolte al dio Apollo, e di canti dionisiaci propri delle donne ebbre infatuate e prese da entusiasmo per il dio, ancor oggi per il popolo Pigmeo il coro è la massima espressione artistica e culturale; l’Antico Testamento descrive in più pagine i cori maschili di inni sacri cantati nelle sinagoghe, veicoli importanti di comunicazione di prescrizioni religiose e la dottrina cristiana lo adottò dai tempi di Costantino e Teodosio I quando la religione cristiana divenne anche religione di Stato, fino ad assurgere alla sua espressione massima con i “canti gregoriani”, cori per sole voci maschili, che Paolo Diacono, biografo di Gregorio Magno dottore della chiesa, racconta ispirati al papa musicista a fine 500 a da una colomba bianca mentre il medesimo dormiva all’interno del confessionale.
Il 4 dicembre 1963, come si dice “essere al passo coi tempi”, con il Concilio Vaticano II la chiesa riconobbe il canto gregoriano maschile come canto proprio della liturgia romana e chiese che gli si riservasse il posto principale nelle funzioni religiose, forse geloso della canzone “vola colomba bianca” con la quale Nilla Pizzi vinse il festival di Sanremo nel 1953, ignaro che il testo alludesse alla nostalgia nazionalista per la questione di Trieste ancora in mano a Tito e alla Jugoslavia e non alla colomba sul confessionale… ma per fortuna poi venne la messa beat e quest’opera teatrale più replicata di “Trappola per topi” dell’Agatha Christie, nomen omen, si aggiornò un poco.
Si può cantare in coro a una voce sola, all’unisono, o in modo polifonico dove si raggiungono ottave diverse per la presenza congiunta di voci maschili e femminili o di adulti e di ragazzi, solo nella tradizione ecclesiastica il canto gregoriano è omofono e misogino.
E da dove sorse questo problema?!?
Il buon Paolo di Tarso fu uno scrittore prolifico e nefasto per l’umanità, anziché essere ”illuminato” e convertito sulla via di Damasco avrebbe dovuto essere fulminato sul colpo e non solo reso temporaneamente cieco come riferiscono gli Atti degli Apostoli e Luca che storico non era, ma teologo si.
E così Caravaggio nel suo dipinto “ la conversione di san Paolo” avrebbe potuto giustamente ritrarlo schiacciato dalle zampe del suo cavallo pezzato.
Con la sua “1^ lettera ai Corinzi, XIV, 34: mulieres in ecclesia taceant” (le donne stiano zitte quando sono in chiesa) aprì una strada di violenza e perversione che si trascinò fino al 1922 con la morte di Alessandro Moreschi l’ultimo dei ”castrati di Dio”, il quale, prima di andare in pensione nel 1913, era solista nel coro della Cappella Sistina in Vaticano e aveva cantato al funerale di Umberto I di Savoia giustiziato dall’anarchico Gaetano Bresci.
Ebbene si! Se le donne non potevano parlare in chiesa nemmeno potevano cantare nel coro, ma la qualità della composizione ne aveva a soffrire, e allora chi poteva farlo al posto loro con la stessa intonazione nella voce? Ci sono “falsettisti” che però crescendo aumentavano la gravità della loro voce, ma, ovviamente, un adolescente ben intonato, dal bel timbro vocale, tra i sette e i dodici anni a cui fossero stati asportati i testicoli non lo cambiava più il tono della sua voce.
Grazzieaddio! la chiesa aveva risolto un problema serio per la buona esecuzione degli inni sacri: cantare e portare la croce… La storia è questa.
Pare che la castrazione fosse stata inventata in Cina 5.000 anni fa ad uso esclusivo del potere politico che voleva funzionari senza vincoli familiari, fisicamente deboli, ma psicologicamente in cerca di riscatto dalla mutilazione e quindi fedeli al padrone che li ricompensava con incarichi di prestigio nell’amministrazione pubblica e nella religione come accadde all’eunuco Liu Chin che nel XV secolo a. C. fu reggente al trono per l’imperatore Witsu e represse rivolte di aristocratici facendoli decapitare per poi sostituirli con suoi colleghi di sventura.
Con tenerezza questi eunuchi cinesi conservavano i loro “ammenicoli” in scatolette, ritrovate dagli archeologi, seppellite con loro affinché potessero ritrovarli almeno nell’aldilà…
Questa abitudine passò poi in Persia agli Ittiti con il culto della dea Kubala che pretendeva che i suoi sacerdoti le offrissero in sacrificio pene e testicoli tagliati sull’altare con un coltello di pietra, a Isacco, mal che andava, poteva capitare di peggio e allora addio alla stirpe ebrea!
I Romani la chiamarono dea Cibele e molto più prosaici scoprirono che i castrati potevano essere utilizzati anche a scopi profani perché avevano la pelle liscia e priva di peli assomigliando così alle donne; introdussero categorie di valutazione sessuale e di qualità: il “semivir” mezzo uomo (detta castrazione bianca), l’”eviratus” completamente castrato (detta castrazione nera), il “mollis” solo un po’ effeminato e il “malacus” quello che aveva acquisito al meglio la parvenza femminile da poter essere scambiato addirittura per una danzatrice.
Il loro prezzo sul mercato degli schiavi poteva essere di duecentocinquanta volte superiore ad uno schiavo da lavoro, come si dice è la legge economica della domanda e dell’offerta, tra chi può pagare e chi no, tra chi è costretto a subire e chi comanda, che Totò rende moderna e sintetica nella sua autobiografia:”siamo uomini o caporali?”.
Di cantanti eunuchi si parla già dai tempi dell’Impero romano d’Oriente, ma a Bisanzio era più che altro un doppio o triplo lavoro in quanto oltre a custodire gli harem, utilizzo (non ho usato il termine “scopo” per rispetto ai mutilati) per il quale erano nati, fungevano anche da sicuri maestri come nel caso di Brisone per l’Imperatrice Elia Eudossia e infine da cantanti nei cori bizantini.
Maometto impedì la castrazione di uomini e di animali e quindi gli Arabi solo dal 750 d. C., conquistando la Persia, scoprirono la pratica, ma recuperarono in fretta il tempo perduto dimenticando il precetto del Profeta e creando centri specializzati a Samarcanda, Assiut in Egitto e Derbent in Armenia dove operavano gli schiavi catturati in guerra, li eviravano e li rivendevano pronti per l’uso ai facoltosi clienti califfi, sultani e sceicchi sui mercati del Cairo e di Baghdad.
Li eviravano come si castrano gli animali, tagliando loro i testicoli e legando i vasi sanguigni, e si dice che in Italia uno dei centri maggiori per l’esecuzione dell’operazione fosse Norcia (artigiani si nasce…), ma risulta che a Napoli esistessero botteghe con l’insegna “qui si castrano ragazzi” (primi esempi di come la pubblicità aiuti il lavoro), e così diventavi un “soprano naturale”!
Ho citato solo due delle tante città in cui si operava perché pare che questi cantori soprano e contralto fossero particolarmente apprezzati nello Stato Pontificio e nel cattolicissimo Regno di Napoli di casa Aragona; i pregiati cantori venivano venduti ai cardinali romani fini melomani che li apprezzavano molto perché, istruiti negli istituti religiosi, tenevano le note più a lungo e potevano arrivare a coprire anche tre ottave e mezza di estensione vocale (è fine e non impegna…).
Va da se che la maggior parte di questi giovani proveniva da famiglie povere che cercavano di migliorare il loro “tenore” di vita facendo diventare “soprano” un figlio intonato e dal bel timbro di voce con l’aiuto di un maestro di cappella o di un organista di chiesa che ne valutavano il talento e in caso di buon fine di tutto, per loro, si dividevano i compensi.
Alla formazione musicale provvedeva poi la chiesa che solo a Napoli aveva ben quattro istituti per l’educazione dei bambini castrati chiamati “angiolilli” mandati a far pratica nelle funzioni religiose e nei funerali, quando si dice agli studenti riottosi che “… è importante che tu studi!”…
Nel 1589 papa Sisto V con la bolla personale assume definitivamente i castrati come cantori della Cappella Pontificia anche se il primo di cui si porti nota è stato lo spagnolo Francisco Soto de Langa già all’opera dall’8 giugno 1562, primo caso di “tournée” artistica.
La posizione del Vaticano fu da allora sempre ambigua ed equivoca perché se da una parte la castrazione era peccato e quindi condannata, dall’altra parte Clemente VIII sostituì nel coro i falsettisti con i castrati,Benedetto XIV condannava la pratica e bontà sua, se l’operazione andava male rimediava avviando il giovane al sacerdozio o allo studio di uno strumento musicale… sai che culo!?! Clemente XIV scomunicò chi favoriva e operava la castrazione, ma non risulta agli archivi nessuna condanna eseguita; nel 1903 Pio X ribadì con “motu proprio” che solo gli uomini potevano essere preti e celebrare la messa e che le donne non erano ammesse nelle cantorie, ma i “castrati di Dio” si, bastava non dirlo.
Ancora oggi in India gli evirati sono ancora diffusi perché la dea Bhuchara Mata pretende che i suoi seguaci, gli “Hijras” che sono circa un milione, non debbano avere alcun segno di mascolinità, e questa è una scelta libera dettata solo dalla loro fede, ma essendo vietata la castrazione sono una setta particolarmente riservata e segreta.
Nel 1995 Zia Jaffrey, giornalista americana, scrive in un suo articolo che a Goa, piccolo stato federato sulla costa occidentale del Continente indiano, esiste un mercato segreto di schiavi eunuchi per il consumo negli harem moderni dei ricchi principi arabi del Medio oriente a cui il Senatore della Repubblica Italiana Matteo Renzi va a insegnare la Democrazia e il Rinascimento.
“Una ciliegia tira l’altra” e io mi faccio trasportare dalle curiosità storico religiose e non proseguo nel raccontare di Eva e di Adamo, scusatemi e abbiate pazienza…
Apostata Per Vocazione ritorna venerdì 3 giugno
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Guido carissimo,
hai superato te stesso. Il “ pezzo “ scorre con una fluidità meravigliosa, come una sinfonia scritta dal un sordo come Beethoven. Forse la natura umana è proprio fatta così. Allo stonato concede una marcia in più per intendere quello che il corista non vede, non potrebbe vedere, dico meglio: NON SA VEDERE. He,he he lo sai che non dico scempiaggini. Basta solo riflettere ( nomen omen…) sulle capacità del cieco, che possiamo definire “ diversamente vedente “, il quale sviluppa meglio sensi diversi e memorizza la disposizione degli oggetti, per orientarsi e percepire il mondo che lo circonda. Omero era cieco e ci ha lasciato l’Iliade e l’Odissea, opere magnifiche che venivano trasmesse da bocca ad orecchio. La famosa tradizione orale. Fino a qualche decennio fa, a scuola, si memorizzavano interi passi delle opere classiche e tante, tante poesie. La memoria così allenata ne traeva un enorme beneficio. I conti erano fatti a mente, a volte contando con le dita sul naso. Ora c’è poco da contare, non c’è niente da obiettare al pensiero unico, c’è lo squallore di scene penose di zuffe, non solo verbali, in tivù, magari per aumentare la percentuale di ascolto per vendere più pubblicità. Non posso definire “ castrati mentali “ coloro che hanno perso gli attributi per avere un pensiero critico, perché se la prenderebbero assai, assai, assai. Come hanno fatto in tanti nei secoli con gli eretici come noi. “ Dove sono andati tutti i fiori, dove sono andati tutti i fiori”. In Campo dei Fiori a Roma, il 17 febbraio 1600. Ti abbraccio con il calore e la forza degli anni verdi.
Ieri notte, dopo aver riletto per l’ennesima volta questo articolo, sono andato sul balcone a fumare una sigaretta e riflettere su cosa potevo scriverti come commento; mi tornava alla mente un’illustrazione che da bambino mi aveva colpito; la didascalia riportava: “San Paolo folgorato sulla via di Damasco” e vi si vedeva un uomo, disarcionato, sul cui volto erano dipinte espressioni di stupore e paura; in alto, da una nube, faceva invece capolino un vecchio barbuto, con il braccio teso da cui si dipartiva un fascio luminoso che, scendendo verso verso terra, lasciava intuire avesse colpito l’uomo sbalzandolo da cavallo. Per me non c’era alcun dubbio che quel raggio di luce fosse proprio un fulmine perchè la dicitura specificava: “folgorato”. Lo confesso: l’idea che Dio in persona stesse nascosto tra le nubi a scagliare i fulmini mi creava un certo turbamento. Mia madre aveva tanta paura dei temporali e interrogata sul perchè, probabilmente per darmi modo di riflettere sul soprannaturale, se ne uscì con la spiegazione che, se c’erano i lampi e i tuoni, significava che Dio era arrabbiato con me perchè ero stato cattivo; non so cosa le passasse per la testa nel propinarmi quell’immagine, resta il fatto che senza volerlo mi instradò proprio lei sulla via dell’apostasia. Tutti i bambini hanno momenti in cui fanno i capricci, sono disobbedienti, rubano la marmellata o camminano con le scarpe sporche di fango sul pavimento appena lavato, ma io ricordo anche tanti momenti in cui mi sentivo con la coscienza perfettamente a posto… in quei frangenti non mi capacitavo del fatto che talvolta scoppiasse comunque un temporale! Perchè allora Dio ce l’aveva con me senza motivo? non era colui che tutto vede e tutto sa? dov’era le sua infinita bontà se accusava un bambino innocente di malefatte mai commesse? Oppresso da queste angosce vi ragionavo sopra anche nelle giornate di sole e, dopo averci ponderato lungamente, giunsi infine alle mie semplici conclusioni. Ci tengo a precisare che molto tempo dopo, durante il terzo anno delle superiori, ho scoperto che nei miei ragionamenti di bambino, senza saperlo, avevo utilizzato il cosiddetto “rasoio di Occam” (è quell’assunto metodologico secondo il quale “non si devono postulare entità inutili, nel senso che sono da evitare le ipotesi complesse, in particolare quelle non suffragate dall’esperienza”). Le mie conclusioni di allora furono che se la nuvola e il fulmine che ne scaturiva erano condizioni necessarie e sufficienti a generare una folgorazione, quell’essere barbuto interposto tra l’una e l’altro rappresentava dal mio punto di vista proprio l’entità inutile (nel senso di Occam). Conclusi pertanto che Dio non esiste e continuai la mia vita con molta più serenità.
Mi ero perso in questi pensieri quando ho dovuto tornare repentinamente alla realtà nel momento in cui, improvvisamente, una grande luce si è accesa sopra i tetti delle case! Ho sobbalzato un po’ intimorito e, probabilmente suggestionato dal tuo articolo e dai miei ricordi, per un attimo ho temuto di stare vivendo un’esperienza simile a quella di Paolo di Tarso… mi immaginavo già i titoli: “Claudio folgorato sulla via Oropa” (vivo in zona Vanchiglietta e il mio balcone affaccia proprio su via Oropa) ma è stata una sensazione di breve durata perchè subitaneamente, un botto e una serie di crepitii mi convincevano che si trattava solo di uno spettacolo pirotecnico. Boia… dei fuochi artificiali proprio allo scoccare della mezzanotte? boh… saranno forse per la festa della mamma? non saprei; non sono durati a lungo ma ne hanno sparati un bel numero. Ad ogni modo questo fatto mi ha dato lo spunto per aprire questo intervento!
Tornando alla mia infanzia devo dire che nonostante la mia conclusione filosofica sull’esistenza di Dio non ho mai mancato una messa, perchè se non erano i genitori a portarmici, ci pensava mia nonna. Delle funzioni ricordo in particolare la frase “dalla lettera di San Paolo ai…” e poi i vari nomi da mettere al posto dei puntini; mi domandavo spesso quante potesse averne scritte e solo di recente ho soddisfatto quella curiosità: solo tredici. Perbacco! pensavo molte di più, ma alla fine ho capito che è come per la TV: una volta prodotta una serie televisiva vanno avanti di repliche fino allo sfinimento… (almeno per la messa non dovevi pagare l’abbonamento!) Resta il fatto che ancora oggi, sentendo nominare San Paolo, mi vengono automaticamente in mente i Tessalonicesi, i Filippesi, i Colossesi, eccetera, ma del contenuto di quelle missive, seppur ascoltate innumerevoli volte, nulla mi è rimasto impresso… nulla! Mi piacerebbe proprio sapere se, a parte il parroco, tra quelli che santificano le feste regolarmente c’è qualcuno che sappia dirmi cosa scrisse, ad esempio, l’apostolo Paolo ai Corinzi? (occhio che è una domanda trabocchetto: ai Corinzi ne ha scritte due!)
Sul fenomeno dei castrati, eunuchi e compagnia cantante ho poco da aggiungere se non che (forse) il cappone è stata una scoperta accaduta per caso a qualcuno che, per similitudine con le pratiche che ci hai ricordato, voleva donare al proprio gallo una bella voce da soprano… però il gallo, si sa, una volta castrato non canta più e così l’ormai inutile cappone, per non essere sprecato, finì nel forno a inaugurare una nuova tradizione gastronomica.
Mi accingevo a salutarti quando dai mei ricordi infantili è riemerso un altro fatto importante; si tratta di quella volta in cui mio padre cercò di illuminarmi sul mistero della riproduzione. Secondo un collaudato protocollo dell’epoca, egli partì dal classico esempio dell’ape sul fiore e via discorrendo… finì che assimilai i concetti generali, ma forse mi ero un pelino distratto e feci così una piccola confusione. In sostanza dopo quelle lacunose lezioni di educazione sessuale, piene di perifrasi e di analogie poco pertinenti, avevo maturato la convinzione che fossero le api ad avere bisogno del polline per riprodursi! Prova solo a immaginare l’ilarità e le prese in giro dei miei amici più grandicelli quando io, facendo il saputello, cercavo di spiegar loro come nascono i bambini… loro asserivano che bisognava “ciulare” ma nel mio vocabolario, quel lemma corrispondeva a: portar via, rubare, imbrogliare… insomma incomprensioni a non finire, ma alla fine avevano ragione loro!
Fortunatamente un giorno ci capitò tra le mani quel giornaletto pornografico, ricordi? fu durante una raccolta carta per l’autofinanziamento del gruppo scout. La ricca iconografia della pubblicazione e le sue immagini eloquenti fugarono ogni residua incertezza legata a un certo genere di argomenti. Fu una svolta epocale per tutti noi e anche tu, Guido, che all’epoca aspiravi a voler fare il prete cambiasti rapidamente aspettative. Mi ricordo che di lì a poco mi raccontasti che andavi addirittura a casa della signora Xyzqr (nome di fantasia per motivi di privacy) per giocare al dottore con sua figlia, nostra coetanea e mai dimenticherò l’eccitazione che provai quando invitaste anche me a partecipare al gioco…
L’unica delusione fu che, con lei paziente e tu dottore, a me toccò solo di guidare l’ambulanza! Siam rimasti comunque amici, ma da allora ho imparato a contare unicamente su me stesso… in certi frangenti preferisco regolarmi secondo il detto “ognun per sè e Dio per tutti” e ti lascio immaginare il gran senso di solitudine che una simile frase può scatenare in uno che si professa ateo…
Prima di tutto sottolineo che mi trovo a mio agio a interloquire con agnostici, atei, apostati… e lo dico da credente – di confessione protestante – piuttosto che con un certo mondo cattolico che a tratti assomiglia a una confessione pagana, con riti e adorazioni che non hanno nulla a che fare con la Bibbia. Detto questo voglio invitare in particolare Guido, ma anche tutti voi ad andarsi a leggere alcune predicazioni su la I Lettera ai Corinzi, in particolare sul passo citato nell’articolo. Non sono qui a difendere Paolo, ma per quella frase non merita di essere fulminato, ad essere fulminati dovrebbero essere quelli che hanno usato queste parole per giustificare l’esclusione delle donne dalla vita della chiesa, oppure a chi ha mal tradotto o inserito in modo voluto quelle parole.
Se volete fare due chiacchiere con un eretico, mi trovate sabato 21 maggio dalle 15 alle 18 al tempio valdese di corso Vittorio 23. Saluti
Perché non amo Paolo di Tarso
Non esiste certezza storica dell’esistenza di un personaggio ebreo chiamato Gesù di Nazareth, Esseno o Nazireno che fosse, in quanto non era affatto rara al tempo l’esistenza di predicatori itineranti messianici e apocalittici in giro tra la Giudea, la Galilea e la Samaria con un certo numero di seguaci, ma la loro predicazione era più di natura politica avversa a Roma che di natura religiosa.
E’ certo che nei “Rotoli del mar Morto”, i documenti esseni di Qumràn datati dagli archeologi nel 68 d. C., e quindi contemporanei ai fatti che si credono accaduti a pochi chilometri da loro, non c’è alcun riferimento né a a Giovanni il Battista né, tanto meno, a un Gesù di Nazareth.
Storici e biografi romani, contemporanei a ciò che raccontano i Vangeli, come Valerio Massimo, Curzio Rufo e Flavio Giuseppe che scrisse la “Guerra giudaica” e le “Antichità giudaiche” o Cassio Dione che pure era nato a poca distanza dai fatti narrati, non ne fanno cenno; non c’è traccia nei loro scritti di qualche gruppo seguace di un “Yeshu” o “Yeoshua” (nome molto comune fra gli Ebrei) nelle cronache romane, nei testi filosofici del tempo o nei racconti ebraici.
I primi testi di origine romana che ne accennano brevemente sono di Plinio il Vecchio, Tacito, Svetonio, Marco Aurelio e Celso, tutti nel II secolo e quasi tutti come in Giustino parlano di:.
Sicuramente il primo che ne scrisse fu Paolo di Tarso che, per sua ammissione, disse di non averlo mai conosciuto, ma ne parlò in primis nella sua lettera ai Gàlati, datata tra il 50 e il 63 d. C., (delle tredici lettere attribuitegli solo sette sono oggi riconosciute dagli studiosi come originali, le altre sei sono considerate apocrife e pseudoepigrafiche). Fu lui a a fondare una nuova corrente giudaica eretica assimilando il il giudaismo sacerdotale farisiaco alle tendenze ellenizzanti patriarcali (dualismo anima immortale-corpo mortale) con l’estremismo esseno apocalittico, pregno della mitologia sulle origini del Male, misogino e sessuofobo. Fu lui, abusando in modo filologicamente scorretto, a chiamare un tal Gesù di Nazareth “Cristo” e a parlare per primo di resurrezione…
Ancora più tardi si scrissero i vangeli sinottici: Marco attorno il 70, poi Matteo e Luca; dopo il 100 quello di Giovanni, le Lettere degli Apostoli e l’Apocalisse, tutti dopo Paolo! che alcuni di loro frequentavano assiduamente.
Con tutto il rispetto per chi si sente religioso e ha “il dono” della Fede io, da appassionato di Storia Universale, sono arrivato alla mia personale convinzione che la religione cristiana sia una fantasiosa invenzione di un solo uomo: Paolo di Tarso! Con tutte le sue conseguenze negative e positive che la Storia in seguito ci ha riportato e insegnato…
Guido
P.S. : colgo l’occasione per ringraziare sempre chi mi dà modo di esprimere le mie opinioni liberamente, e chi con pazienza insperata mi legge e spesso mi commenta. Grazie a tutti!
errata corrige: re invio parte di paragrafo sparita dalla prima emissione (e non so spiegare il perché!)
I primi testi di origine romana che ne accennano brevemente sono di Plinio il Vecchio, Tacito, Svetonio, Marco Aurelio e Celso, tutti nel II secolo e quasi tutti come in Giustino parlano di:.
grazie, guido
Per la serie: ritenta sarai più fortunato:
I primi testi di origine romana che ne accennano brevemente sono di Plinio il Vecchio, Tacito, Svetonio, Mrco Aurelio e Celso, tutti nel II secolo e quasi tutti come in Giustino parlano di:” Yeshua, il galileo, è il fondatore di una setta empia e avversa alla legge. Noi lo abbiamo appeso, i suoi discepoli ne trafugarono il cadavere nottetempo e ingannarono le persone dicendo che era risorto e salito al cielo”