Cresce la mia solitudine e la mia insofferenza, così mi affaccio alla finestra, per “colpire” i miei simili
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⇒ di Giuseppe Rissone ≈ Piccole Storie Quotidiane
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A volte, spengo la luce, e mi metto alla finestra. Ridicoli loro eh, curano la facciata, e qualche volta anche il didietro, e io invece da qui li vedo ribaditi, spiaccicati sul marciapiede, schifosi, con le gambette che escono dalle spalle. Ptu ptu ptu
Non ho perso la ragione, almeno credo, le parole che avete appena letto non sono mie, ma tratte dal monologo L’Anarchico da Il teatro di Giorgio Gaber del 1982. Gaber/Luporini sono affascinati dalla frattura io-mondo, angosciati di fronte alla precarietà di senso della nostra esistenza che spinge il protagonista del monologo a un gesto estremo, nella convinzione disperata che il disprezzo per i suoi simili sia pur sempre un modo per uscire dall’anonimato della massa, per passare dal non essere all’essere.
Questa similitudine con il pensiero Gaber/Luporini mi pervade da diverso tempo, acuendosi con il passare dei mesi sotto il dominio del virus, che ha modificato le nostre vite, il nostro essere sociali.
Vorrei anch’io affacciarmi dalla finestra, e colpire i passanti, ed in particolare quelli che danno importanza esclusivamente alla loro esteriorità, che si sentono importanti perché posseggono auto di dimensioni cubiche, quelli che allo scoccare della mezzanotte fanno partire fuochi d’artificio perché da rossi si è diventati arancioni, quelli che non rinunciano all’aperitivo, quelli che gettano a terra le mascherine, quelli che se non vanno a rasarsi i capelli si sentono male, quelli che servirebbe un uomo forte, e potrei continuare all’infinito.
Ebbene sì, io che ho espresso più volte l’amore per i miei simili, mi trovo qui dalla mia casa a guardare la variegata umanità che passeggia, che non sopporto, che non arrivo a disprezzare, ma a non capire sì, e che vorrei colpire, far sparire, rendere innocua.
Questa situazione, questo sentirmi lontano lontanissimo dal pensiero imperante del nostro tempo, mi fa sentire emarginato, come nella canzone di Leo Ferrè La Solitudine, da cui emerge la rappresentazione di chi non è compreso dalla società, di una mente troppo libera per essere soggiogata dalle catene e dagli schemi rigidi sociali: La disperazione è una forma superiore di critica. Per ora, noi la chiameremo “felicità”, perché le parole che voi adoperate non sono più “parole”, ma una specie di condotto attraverso il quale gli analfabeti hanno la coscienza a posto.
Questo pensiero anarcoide che mi pervade è forse frutto della carta d’identità, dei lunghi mesi di clausura, della incapacità a comprendere come i miei simili s’indignano per non poter andare al mare, per non fare shopping, per non andare in montagna a sciare, per non poter prendere l’aperitivo con gli amici, e nessuno che si ribella per il continuo esistere e moltiplicarsi delle guerre e della persistente costruzione di armamenti, dell’incapacità di saper accogliere, dell’importanza assoluta del denaro e delle speculazioni, della continua erosione del diritto alla salute, dell’accettare in maniera incondizionata la supremazia della macchine sull’uomo, delle continue minacce procurate alla salute del nostro pianeta.
Non sono io che voglio affacciarmi alla finestra, siete voi che mi costringete a farlo, non è questa un’autoassoluzione, ma non ho altre scelte, che colpirvi, che scuotere le vostre coscienze – se ne avete una – perché non posso credere che tutto finisca così.
Mi fa impazzire pensare alle persone sensibili e piene di qualità che odiano il denaro e le industrie e le macchine e il potere, e perché sono sole pensano di essere malate, si sforzano di adattarsi alla realtà e se ne fanno schiacciare. Dobbiamo trovare il modo di raggiungerle, mettere annunci sui giornali di tutto il mondo e parlarne con tutti i mezzi possibili, stabilire contatti.
Questa frase dello scrittore Andrea De Carlo è stata pubblicata sul questo sito e diffusa nella nostra newsletter domenicale, questo ha comportato alcune critiche, in particolare di avere nostalgie per alcune forme di protesta e critica sociale radicale come il luddismo, per chi non lo sapesse il luddismo fu un movimento operaio britannico attivo nei primi decenni del XIX secolo caratterizzato da reazioni violente contro l’introduzione delle macchine e la conseguente disoccupazione. Sono contro le macchine, l’industrializzazione, la tecnologia? Nulla di tutto questo, quando le innovazioni aiutano l’uomo a non distruggere il proprio corpo e la propria mente, sono le benvenute, quando diventano solo oggetto di guadagno per pochi e di abbruttimento per molti, ecco che allora il luddismo ha ancora un senso, che non auspico si espliciti in forme violente, ma nel pacifico e libertario rifiuto.
Qualcuno obietterà mettendo in evidenza che l’Italia è il paese del volontariato, della generosità, nulla in contrario, la mia constatazione e contestazione, riguarda i gesti e le azioni quotidiane che stanno inesorabilmente abbassando il livello culturale e sociale.
Non voglio sentirmi solo, non ho nessuna aspirazione da Don Chisciotte, e nemmeno stare affacciato alla finestra mi diverte, vorrei tanto scendere in strada, per incontrare chi ancora non si è arreso e utilizzando le parole di De Carlo devo trovare il modo di raggiungerle, mettere annunci sui giornali di tutto il mondo e parlarne con tutti i mezzi possibili, stabilire contatti, sputare sulle teste non è una soluzione, è un immagine forte che sentivo la necessità di esprimere e se le cose non funzionano ricordatevi sempre che… Per quanto voi vi crediate assolti Siete per sempre coinvolti… ossia se pensate che i guai del mondo non vi riguardino prima o poi vi cadranno sulle vostre teste, come gli sputi dalla finestra.
Post Scriptum
1- Voglio tranquillizzare i lettori, se passate sotto casa mia non vi sputerò, il mio è uno sputo metaforico, perché a sessant’anni (quasi) non ho più tempo per attendere che qualcosa cambi.
2- Nell’ultimo articolo sostenevo che questa vita condizionata dal virus non mi avrebbe permesso di scrivere altre storie e che la pagina sarebbe rimasta bianca, non ho mantenuto la promessa? Secondo voi quella appena letta rientra in una piccola storia quotidiana?
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⇒ Foto: Giuseppe Rissone ≈ Prossimo Appuntamento: 3 gennaio
Caro Giuseppe, il tuo pezzo ha bucato gli schermi con la semplice forza di uno sputo…
Il virus ha solo accentuato convulsioni e debolezze di chi è vittima, a volte incolpevole, delle sue stesse catene.
L’autentica solitudine sta lì, sotto la tua finestra.