di Enea Solinas Enea Solinas
Come perdersi e ritrovarsi (e riperdersi e sostare, e cambiare)
Talvolta occorre imparare la lezione. Altre volte è inevitabile prendere ripetizioni…
Questa è la sintesi (in)possibile di una comunità policentrica, variegata multiforme. Che resiste all’urto degli anni e delle crisi, ne trae vigore ma non si quieta in un banale accontentamento della propria condizione.
Esistono circolo viziosi che sono belli proprio per questo motivo, altri che sono virtuosi e sono altrettanto belli per questo motivo. E poi esistono i circoli poetici che confondo le certezze, vizzi e virtù, sospendo il giudizio diretto ma fanno risuonare spie che ci ri-velano: gesti, parole, sentimenti, emozioni, silenzi.
E che comunicano, senza essere dei mediali, o pretendere di essere rimedi per aggiustare la psiche o la vita di chicchessia.
Sono poetici e sono comunitari senza esplicitare questa caratteristica. Sono apportatori di comunanze, e di divergenze. Fertili, feconde.
Sono microcosmi di differenze in cui confrontare il proprio sentire senza competere, cercando di trarre un riverbero dallo stare insieme.
Stare in gruppo, seduti in cerchio o attorno ad un tavolo, ascoltarsi darsi e dare tempo e spazio alla relazione di rivelarsi o di nascondersi, di celarsi. Senza pretendere di sapere in anticipo, di avere le idee chiare.
Poetico è il circolo dei poeti nascosti, sorto per trovare uno sbocco all’accumularsi di testi (soprattutto poesie, ma anche aforismi e motti di vita), altrove emarginati o impossibilitati e ad essere liberati. Rinchiusi in cassetti o nella propria testa o in qualche meandro del cuore e del mondo.
Ritrovarsi e con un guizzo di vitalità celebrare il mistero, la dissonanza armonica dello stare insieme ciascuno col proprio modo di essere declamando poesie e frasi in libertà.
Celebrando la giornata mondiale della poesia derubricando l’appartenenza che troppe convenzioni e linguaggi pre-dominanti assoggettano all’ambito della salute mentale. Fare socialità, e condividere un momento di convivialità.
Occasioni di emersione o di immersione, in cui anche i balbettii, le incertezze della voce sono benvenuti.
Ritrovarsi in presenza e in assenza, tenendo presente chi si sente faccia parte della comunità ma per motivi che si esprimono ma non per forza si spiegano non è tra i presenti.
Il Circolo Poetico Urbano Orfeo vive e opera da più di 12 ani, ed è la continuazione in vesti trasversali inter-associative ed informali del circolo dei poeti nascosti, che portavano alla luce e all’ascolto poesie artigianali, e prima ancora modi di relazionarsi al mondo e tra le persone.
È circolo perché si pensa sempre in differente equidistanza da un centro che appare e scompare ed è comune e allo stesso tempo personale e soggettivo. È circolo perché circola e fa circolare, abita in movimento il corpo urbano, trasforma asettici spazi, in luoghi, compiendo una trasmutazione antropologica-relazionale.
Crea possibilità di stare in gruppo e di stare distaccati dal gruppo. È transito ed eterotopia, veicolo metaforico di cambiamento e accoglimento di ciò che ci esprimere (in)volontariamente. Fa salute mentale promuovendo l’arte relazionale, prima ancora che i linguaggi artistici/artigianali.
È poetico perché generativo, crea e libera utilizzando come strumento di relazione anche i linguaggi artistici e artigianali. Linguaggi deboli, non forti, che non prevalgono o cercano di far i conti con le proprie contraddizioni e i conflitti che c’innervano o si sovrappongono tra noi e il contesto sociale. Traendo dalle crepe spiegargli di luce, riconoscimento e superamento. Ma anche di beato godimento nel semplice atto di esistere e resistere per come si è, quando anche l’essere è un modo per sentire e sentirsi (talvolta attraversando periodi bui e sofferenti).
È poetico perché non nega l’importanza del dolore ma è proiettato verso la gioia di vivere e di condividere.
È urbano perché si fa carico delle problematiche senza predisporre di soluzioni predeterminate e facili. Lascia che ciascuno compia il proprio cammino, e apprenda dall’esperienza e dalle sue possibili rielaborazioni esposte allo sguardo molteplice e rispettoso, anche quando l’angoscia divora l’anima e rende intollerabile al singolo il proprio sentire o il sentire angosciato dell’altro.
Crea ponti tra alterità, coabitando differenze, e lasciando che si possa anche vivere il delirio quale forma di autodeterminazione della psiche non conforme alle norme culturali e sociali.
È urbano perché si muove in un contesto cittadino, offre riparo – talvolta consolazione – altre volte cittadinanza alla diversità e sua piena e legittima espressione.
È urbano perché improntato sul dialogo e il confronto, e sulla libertà di decidere del proprio sentiero. Di fare i conti con la necessità e di ricercare e sollecitare il desiderio.
Si riferisce a Orfeo per tutti questi motivi, per ricordare la discesa nell’oscurità come momento di esplorazione necessaria per imparare a conoscere sé stessi. Per ritenere prezioso il dolore e non negarne l’esistenza.
Per non sentirsi indifferente, per evocare poeticamente un costante ricerca d’amore e di accoglienza verso la vita quel che sottrae e offre, come opportunità e come crisi.
Per non fare di tutto ciò un materiale economizzabile e commercializzabile. Né riducibile ad alcuni assiomi e paradigma.
Per non fare della cura una ricetta preconfezionata e prescritta, e invogliare alla partecipazione attiva.
Anche quando questa si manifesta in un ascolto silente e attento.
Faccio parte di questa comunità da oltre 15 anni. Negli ultimi 2 abbiamo convissuto le restrizioni e le norme dettate dal governo della pandemia. Nei precedenti 3 anni, personalmente ho vissuto l’esplorazione dei confini del delirio, della deriva narcisistica e della paranoia quale stato reiterato di pensieri compresso tra pericolo e minaccia, angoscia e suo incerto superamento.
Spesso i ricordi mi hanno rapito. Così come l’affetto che provo indistintamente, misterioso verso questa tribù di tribù, questo collettivo di collettivi. Che negli anni mi ha con-cresciuto e nutrito, e mi ha spinto ad esplorare altre socialità, altri centri e altre periferie psichiche e urbane.
Fare una sintesi è impossibile, e sarebbe riduttivo, soggettivo e molto parziale. Ma anche questo è il suo bello. Un intrecciarsi di storie che nasconde nel tessuto complice con la trama del mondo, abissi e vette inespugnabili. Dis-astri e risorgenze.
È un invito al viaggio, anche nella sosta, nel momentaneo sostare e un saper stare lasciando fluire il sentire. Percependosi corpo non irrelato dalla collettività e dall’alterità.
Riuscendo talvolta con pensiero impuro a dare nomi ad antiche potenze, che appaiono nella mente come baluginii, riverberi e voci. Praticando quell’ancestrale ri-conoscimento orfico, che ci rende come fragilissimi superuomini simili ad idoli, pronti a crollare alle prime brezze di primavera, o alle onde di un mare che e-muove, e incanta, anche con i suoi aspetti tremendi, come le gorgoni.
Ve l’avevo anticipato: il riassunto è impossibile, ma non per questo il tentativo è vano.
Insieme a Bradipodiario il circolo poetico condivide l’importanza della lentezza. Uno dei suoi motti è “lenti, ma costanti”. In questo senso appare come un contesto partecipato e coinvolgente, al di là della quantità di tempo che si condivide. È la qualità che fa la differenza. E il tempo convissuto si presuppone liberato, talvolta illudendo che ciò sia effettivamente così (perché ciascuno esprime il proprio sintomo e modo di stare al mondo). Ma forse, involontariamente, lo è proprio per questo motivo.
Per chi volesse saperne di più lascio qui i link della redazione di Segn/Ali, del Laboratorio Urbano di Mente Locale e dell’associazione Il Tiglio.
Mi sono e ci siamo ritrovati dopo alcuni anni di pausa in questo breve e semplice rito ben augurale di inizio di Primavera, lo scorso 21 marzo.
Ma ciascuno di questi collettivi e associazioni promuove iniziative e incontri lungo tutto il corso dell’anno e continua a resistere e a diffondere la poesia dell’arte relazionale.
Cronache Del Dopo Virus ritorna mercoledì 4 maggio
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