di Giovanna De Stefani
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Non sono mostri, l’unica prevenzione è creare una rete di salvataggio…
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Riceviamo da una nostra lettrice, residente in Cile, una interessante riflessione sul tema del femminicidio, partendo da un recente fatto di cronaca.
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Leggo da casa mia, vicina alle curve sinuose delle Ande australi le notizie sulla brutale uccisione di una ragazza 29enne innamorata e madre di una creatura al settimo mese di gravidanza, per mano del proprio compagno nonché padre del bambino, Thiago, che non conoscerà mai i suoi genitori né tantomeno la vita extrauterina. Lui e la sua mamma sono rimasti vittime della “furia loca” come direbbero qui, di suo papà. Sto parlando di Giulia Tramontano e di Alessandro Impagnatiello, coppia come tante dell’hinterland milanese. Ultimamente casi come questo, purtroppo salgono agli onori delle cronache con dico con frequenza, ma piuttosto con un’insistenza che ci deve ridestare tutti dal nostro sopore: le nostre vicine, le nostre amiche, le nostre parenti o peggio ancora le nostre figlie potrebbero essere in pericolo. E non si può dormire tranquilli con questo tarlo.
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Qualcosa bisogna pur fare. Se mi sembra che nel suo editoriale ne La Stampa, (che vi invito a leggere “Se la compagna è da annientare”) Assia Neumann Dayan centra totalmente il problema dicendo che questi uomini assassini non sono dei mostri, e che l’unica prevenzione è creare una rete di salvataggio, “imparare a riconoscere le situazioni di pericolo, non andare agli ultimi appuntamenti – ma come si sa che sia l’ultimo, prima? – non essere prese per delle isteriche nei commissariati se andiamo a denunciare”, credo anche che a monte dobbiamo fare un attento esame di coscienza, come si usava da piccole, e riconoscere responsabilità. Negli uomini e in noi donne. E procedere con un cambio radicale, correggendo i nostri errori, sperando che questo produca un cambio nella nostra società, italiana ma non solo. Perché questo cancro dei femminicidi non è prerogativa del Bel Paese. Purtroppo.
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Annalisa Cuzzocrea, in un altro editoriale suggerisce che il problema grosso è che “non si è fatto – di pari passo col lavoro in Parlamento – un’opera di educazione profonda nel Paese, a partire dalle scuole”. Per riconoscere il pericolo di un uomo con desiderio di possesso, un uomo che non può accettare nessun limite e nessun no. Vero, ma io credo che in questo momento il vuoto e l’assenza di educazione e/o di valori vada molto al di là di questo. Osservando i fatti con quella distanza che decine di migliaia di chilometri mi permette, mi pare di cogliere che nella nostra società (e dico nostra perché io con il mio Paese non solo m’identifico ma testimonio di quest’amore in ogni mio respiro, boccone, sguardo) manchi oramai il legame che è fondamento di ogni società: parlo dell’amore reciproco, dell’altruismo, della pìetas come lo si voglia chiamare. Con la crisi delle grandi istituzioni, la Chiesa prima di tutte, seguita dai partiti politici, l’associazionismo, con l’avvento dell’individualismo moderno insomma, dell’io sopra tutto e tutti, delle mie necessità sempre prima di ogni cosa, s’è andato a intaccare il cemento di qualsiasi società, ovvero l’amore per l’altro, l’empatia per il mio simile, per il mio compagno di viaggio, il vicino, quello con cui condivido la mia condizione di vivente su questa terra. E cosa ben grave s’è perso il senso dell’amore, per me in quanto essere sociale, e per l’altro, o l’altra. S’è confuso l’amore con il possesso dell’altra; con la seduzione e il piacere, che ne sono elementi, ma non il tutto. C’è un accecamento e un malessere che in realtà potrebbe essere colto, se solo si avessero gli elementi per discernerne i segnali, i sintomi.
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Leggendo le cronache quotidiane con sempre più frequenti casi di mattanze o di efferati omicidi verso famigliari, compagne, figli, ho l’impressione che siano tutti prodotti di un medesimo impoverimento sociale e di un malessere ignorato: ho lavorato e vissuto in diverse società superstiti o conniventi con situazioni di guerriglia, conflitti, tensioni sociali, violenza. E posso dire che quel che più si necessita al venir fuori da forti traumi violenti, sono programmi di salute mentale e di educazione ai valori. Ecco, in grado assolutamente diverso, quando vengo in Italia e passeggio, e guido, e faccio code, o chiacchiero, o in suo difetto ascolto, noto una rabbia a fior di pelle, una ipersensibilità verso qualsiasi espressione non aderente a quel che si vorrebbe sentire, un rancore e un disincanto immenso. Con tanta solitudine. E allora ci si aggrappa a quel che si ha e non a quel che si è come esseri umani. E a quell’io ferito si sottopone tutto il resto, e tutti gli altri.
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Lungi da me l’idea di voler dare una ricetta per uscire da tutto questo, ma credo che recuperare il senso dell’amore, del rispetto di noi stessi e dell’altro, uomo o donna che sia, del preoccuparmi per l’altro; fornire un appoggio psicologico e diagnosticare i casi di depressione o di sofferenza con uno screening più accurato, a carico dei medici di famiglia e gestito a livello nazionale; lavorare sulle scuole per sradicare la figura obsoleta del “macho” italiano proponendo programmi alle bambine di autocoscienza, di autodifesa e a tutti bambini e bambine di rispetto per l’altro, per il diverso, e di gestione delle proprie emozioni, ecco credo che potrebbe essere un primo passo. Occorre molto altro, ne sono sicura. Così come che sull’immediato non cambierebbe molto; ma sarebbe una prima scommessa su una società diversa a medio termine. Con tanto di interessi. “I care” diceva don Lorenzo Milani. Lui l’aveva già capito più di mezzo secolo fa.
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Foto: Giuseppe Rissone
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Bradipo Reporter ritorna giovedì 8 giugno
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Carissima Giovanna, nelle rare occasioni in cui siamo incontrati avrai avuto modo di notare che a me piace fare dell’umorismo, prenderla sul ridere, scherzare su ogni cosa. L’evento tragico che ti ha indotta a scrivere questo articolo mi impone però di tenere a freno la mia vis comica; però quando cerco di essere serio, scivolo sempre nel pessimismo: sono scettico e divento una Cassandra.
Tu parli di screening più accurati e di appoggio psicologico da porre a carico dei medici di famiglia… beh, non so come sia la situazione dalle parti delle Ande australi, ma ti assicuro che qui da noi ci sono molti mutuati che hanno persino dimenticato la fisionomia del loro medico curante; ora ci sono le ricette “dematerializzate”: ne fai richiesta ad una segreteria telefonica e ti arrivano con una email… mi incuriosisce capire come si potrebbe diagnosticare la depressione via fax!
Alludi anche alla necessità di lavorare sulle scuole… guarda che nella scuola l’unica figura obsoleta che per ora si è riusciti a sradicare, non è il “macho” italiano, ma solo l’italiano, nel senso proprio della nostra bella lingua! E l’autodifesa, per cominciare, si dovrebbe insegnarla subito ai professori, dal momento che ultimamente in aula li accoltellano o gli sparano con pistole ad aria compressa. Quanto alla gestione delle emozioni e sul rispetto reciproco invece la vedo proprio dura. Se ci sono donne che in casa hanno uomini violenti o anche solo prevaricatori, non va meglio per i tanti ragazzi che, nella scuola, ma anche che fuori da essa, devono subire le vessazioni dei cosiddetti bulli; e il termine “bullismo” ricorre sempre più di frequente nelle note di cronaca. Ora io mi chiedo: questi adolescenti “devianti”, questi bulli, se lo sono inventati da sè il loro modo di essere o essi sono il naturale riflesso degli esempi che vivono in famiglia? La risposta a questa domanda l’ha appena data Paola Mastrocola in un articolo su La Stampa del 6 giugno. Dopo aver citato alcuni episodi di poca civiltà che hanno visto come protagonisti delle persone adulte, la scrittrice (nonchè ex insegnante di liceo) si chiede: “Come si può “tenerli” (riferendosi agli studenti) in classe, fermi, attenti, convincendoli pure a studiare? Che scuola si può mai inventare, se noi stessi superiamo i limiti di velocità, schiaffeggiamo poliziotti, ci buttiamo in fontane cittadine e ci insultiamo normalmente con violenza sui social?”. Tu Giovanna pensi davvero che in questa scuola dove ormai non si riesce nemmeno più a insegnare l’abbicì, si potrebbero tenere lezioni su argomenti così delicati come quelli che hai ipotizzato? Io non lo credo più fattibile. All’inizio hai fatto un’analisi abbastanza esaustiva dei mali della società ed hai giustamente menzionato tanti buoni valori che si sono persi e che andrebbero recuperati, ma è proprio sulla la possibilità di raggiungere quest’ultimo obiettivo che io sono parecchio dubbioso.
Inoltre mi fa sorridere l’idea che ci si aspetti dal Parlamento azioni legislative che consentano una prevenzione o il controllo sulla violenza, quando sono proprio i membri di Camera e Senato a esercitare la violenza; loro per primi, addirittura nelle sedi istituzionali! E non si limitano a violenze verbali: sono passati alle vie di fatto in diverse occasioni (prova a digitare “botte in Parlamento italiano” su youtube e troverai un ricco florilegio di esempi).
Infine abbiamo sentito lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, un procuratore della Repubblica (Letizia Mannella) e una stimata giornalista come Assia Neumann Dayan tutti concordi nel dire che non si deve andare all’ultimo appuntamento!
Oibò, se quello è il miglior consiglio che ci perviene dalla categoria degli intellettuali, non c’è da stare troppo allegri. Al cospetto di tanta saggezza trovo allora il coraggio per
suggerire anch’io quello che potrebbe essere il rimedio contro la piaga del femminicidio e propongo una soluzione semplice ma definitiva: “Ragazze, non andate mai al PRIMO appuntamento!” Con questa facile misura preventiva, sottraendosi a qualsiasi relazione, le donne eviteranno ogni pericolo!
Giovanna, se dopo questa sparata tu concludessi che sono un imbecille, lo capirei. Ho anche pensato di cancellare quest’ultima sciocchezza per non perdere la tua stima, ma il brivido di scoprirmi capace di argomentazioni paragonabili a quelle degli intellettuali, mi ha impedito di farlo!
Comunque hai ragione: nell’immediato non può cambiare nulla. Vogliamo provare a scommettere su una società diversa per un prossimo futuro? Facciamolo pure, senza dimenticare, però, che chi di solito ha consuetudine con le scommesse, finisce prima o poi in mano agli strozzini!