Uno spazio nato per raccontare piccole storie quotidiane… dove sono indispensabili incontro, conoscenza, osservazione… tutto questo è “in sospeso” da tre settimane, l’incontro con un film rallegra e offre ottimismo in queste giornate particolari…
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Questo spazio è nato per raccontare piccole storie quotidiane, vissute direttamente a contatto con le persone; dove l’incontro, la conoscenza, l’osservazione, sono usate dal sottoscritto come spugne, per poi portare su queste pagine quello che vedo e vivo. Tutto questo non accade da tre settimane, sono costretto a lavorare da casa – per questo mi reputo privilegiato – esco solo per le strette necessità. L’incontro con l’altro è limitato solo a tre persone, mia moglie, mia figlia, e la vicina di pianerottolo.
Evito di raccontarvi come trascorro le mie giornate – non è lo scopo di questa rubrica – allo stesso tempo ho deciso di mantenere questo appuntamento, come piccolo gesto di normalità, e quindi vi racconterò un incontro, un incontro con una storia, con una storia raccontata in un film, Il riccio. E’ stato un incontro avvenuto sabato scorso alla ricerca sulle varie applicazioni di un film per trascorrere alcune ore senza l’assillo del continuo aggiornarsi dei numeri, e del non sapere cosa fare. Pigiando sul piccolo telecomando e scorrendo sulle immagini delle locandine rimango colpito da un’immagine, che mi ha riportato indietro con la memoria, esattamente nel 2008, quando lavoravo presso un distributore editoriale, un libro, scritto da Muriel Barbery, che ebbe un strepitoso successo in Francia, e anche in Italia non fu da meno. Ricordo che appena la pila delle copie veniva sistemata sugli scaffali, veniva venduta, e diventava necessario rifornirsi in fretta, anche rivolgendosi ad altri distributori, per non rischiare di non poter evadere le richieste dei librai. Più volte mi sono riproposto di leggere quel libro, attratto anche dalla bella copertina – che qui riproduco – poi questo non è accaduto e il ricordo si è piano piano sciolto nella mia mente, sino a sabato scorso…
Non è mia intenzione raccontarvi la trama, il mio è l’invito a leggere il libro oppure a vedere il film, a voi la scelta, però ci sono due aspetti su cui voglio soffermarmi, che la visione del film mi hanno solleticato.
Premetto, amo il cinema francese, da sempre, credo sia in grado di raccontare storie semplici, senza mai cadere nel banale, anche quando si fa commedia, non scade mai nel volgare, un esempio è Giù al nord del 2007, oppure Il piccolo Nicolas e i suoi genitori del 2009, e ancora Chocolat del 2000, Emotivi Anonimi del 2010, La guerra dei bottoni nella sua prima versione del 1962 e poi ripresentato in un nuovo adattamento nel 2011, e con uno sguardo al passato come non citare 400 colpi del 1959 di François Truffaut, e il divertente e un pò kafkiano La legge è legge del 1958 con la coppia Fernandel e Totò, e potrei continuare…
Torniamo alla pellicola in questione, prima di addentrarmi nei due aspetti che mi hanno colpito, ritengo giusto dedicare alcune righe all’attrice protagonista, Josiane Balasko, che non avendo letto il romanzo, a convincerla a diventare Renée – la portinaia protagonista della storia insieme alla giovane Paloma – è stata la possibilità di raccontare ancora una volta le donne invisibili, che poi sono la maggior parte. Non siamo tutte Monica Bellucci. Dall’inizio della mia carriera mi interessa mostrare la grande forza interiore che hanno.
I due aspetti che ho portato “a casa” dalla visione de Il riccio – l’eleganza nella trasposizione cinematografica è scomparsa – potrei riassumerli in opportunità e rifugio.
L’opportunità, spesso si è portati a pensare, errando, che chi non svolge determinati mestieri, che chi non ha diplomi o qualifiche da esibire, chi non segue particolari mode e/o stili non sia in grado di avere determinate sensibilità, passioni e capacità, serve che qualcuno sappia coltivare questi “fiori” permettendogli di germogliare, il “fiore” dimenticato nel film è la portinaia Renée, la giovane Paloma e il nuovo inquilino, il giapponese Kakuro, sono coloro che sapranno concimare, amare, accogliere quel fiore dimenticato e intristito.
Il rifugio, ognuno di noi ha necessità di un rifugio fisico e mentale, dove riflettere, dove far decantare paure e timori, dove far emergere passioni e interessi, o semplicemente per isolarsi da tutto e da tutti – non quello imposto dal Coronavirus – per rimanere con se stessi, con i propri sogni, angosce, paure, progetti, magari in compagnia di un bel libro.
Come detto il film perde nel titolo il termine eleganza, ma non perde la capacità di emozionarci, raccontandoci una storia semplice – di quelle piccole e quotidiane che amo tanto – che mette in evidenza il bene e l’importanza del prenderci cura dell’altro, dove i protagonisti scoprono e danno nuova attenzione a Renée, esplorandone la profondità e l’affettività.
Chiudersi a riccio, è sinonimo di chiusura, di non voler incontrare l’altro, oggi siamo chiusi nelle nostre case, temiamo l’incontro con un nostro simile perché ci potrebbe contagiare, riusciremo a riaprire le nostre menti, i nostri corpi? Non sono in grado di rispondere, ma serviranno tante Paloma e tanti Kakuro, che con eleganza e pazienza dovranno stanare le nostre vite da questo lungo isolamento.
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Foto: ibs.it – ideawebtv.it30
Piccole Storie Quotidiane ritorna lunedì 27 aprile
Per chi non dispone abbonamenti con le piattaforme online segnalo che questa sera alle 21:15 su Rai 5 andrà in onda il film che vi ho presentato. Buona visione